venerdì 5 aprile 2024

Recensione a "Tokyo love story" di Yasmin Shakarami

 



Genere: Romance
Editore: Newton Compton Editori
Data d'uscita: 3 Aprile 2024
Pagine: 326
Prezzo: eBook 5,99 - cartaceo 9,40

 
 
 
 
 
 Può il vero amore superare ogni ostacolo?
Malu ha un unico grande desiderio: lasciarsi tutto alle spalle. Casa sua, la sua vecchia vita. Quando le si presenta l’occasione di partire per il Giappone, la coglie senza ripensamento alcuno. Una volta approdata a Tokyo, lo shock culturale è enorme. Ma non è solo la città a farle girare la testa: anche Kentaro, un ragazzo appena conosciuto, ha lo stesso effetto su di lei. Sempre più affascinata, Malu si lascia guidare da Kentaro in una Tokyo inedita e speciale, che le permette di scoprire lati di sé che non credeva esistessero. Tra una passeggiata romantica per le strade illuminate dalle insegne al neon, una pazza serata al karaoke e un momento magico al chiar di luna su un tetto, i due imparano a conoscersi e finiscono per innamorarsi. Poi, un giorno, una catastrofe improvvisa sconvolge Tokyo e Malu si trova a dover cercare disperatamente il ragazzo che ama in una metropoli devastata. Il loro grande amore sopravvivrà al più avverso dei destini?
 
 
 
 
 

 

Un mese fa ho saputo di essere stata selezionata per uno scambio culturale con il Giappone. Tre posti esclusivi, di cui uno soltanto a Tokyo. Visto che fino a oggi il nostro programma di scambio si è limitato all’Europa, l’offerta, nuova di zecca, di frequentare una scuola giapponese per un anno ha creato il finimondo; di conseguenza, le richieste sono state tantissime. In realtà, come studentessa non sono niente di che. Ancora oggi non so come ho fatto ad aggiudicarmi il richiestissimo biglietto d’oro. Deve essere andata così: in una notte di luna piena, i miei insegnanti stressati e i miei genitori, senza più idee, si sono riuniti in gran segreto e hanno preso la decisione. Dovevano rimandare l’aliena sul suo pianeta natale. Non avendo i mezzi per raggiungere la periferia dell’universo alla velocità della luce, si sono accontentati di spedirmi dall’altra parte del mondo. Non posso prendermela con loro. Già da un po’ non riesco ad avere pace, né a scuola, né in famiglia. Non che le cose siano mai state particolarmente facili per me, ma l’estate di due anni fa ha cambiato tutto. Da quel momento, è andato tutto a rotoli. O, per essere più precisi, sono finita in un tunnel buio e profondo in cui c’era un’unica luce: andarmene via.

 

Ci sono libri che sai non potrai fare a meno di amare. Anche se il titolo è tutto sbagliato, mentre nell’originale tedesco ti appare quasi come una musica, delicato come la pioggia che inizia leggera per poi travolgerti in un acquazzone che ti trascina a terra. Magari mentre stai correndo con un ragazzo appena conosciuto, uno che per estrazione sociale da te è lontano anni luce e oltretutto è oggetto del desiderio della sorella adottiva con cui dovrai trascorrere un anno. “Tokyo Regen”, la pioggia di Tokyo, suona molto meglio ed è più significativo di quel “Love Story” piazzato lì, quasi per caso, nel titolo dell’edizione italiana. Eppure, se ci penso bene, forse anche queste due parole un senso ce l’hanno, se lette nel contesto giusto. Perché alla fine questo romanzo è una lunga e preziosa storia d’amore tra due ragazzi, tra fratelli acquisiti, ma soprattutto con Tokyo. Quella metropoli meravigliosa e ricca di sfumature dove, fra trentotto milioni di abitanti, è anche possibile incontrare l’anima gemella, per cui faresti letteralmente di tutto nel bel mezzo di una catastrofe naturale. Ma andiamo con ordine, altrimenti come al solito mi faccio prendere la mano e poi finisce che vi stancate subito. Andiamo con ordine, ma al contrario, tanto «spesso in Giappone le cose sono sottosopra», come direbbe Kentaro. Questo libro voi lo dovete leggere, regalatevelo e regalatelo; non solo la storia è bellissima, originale e raccontata magistralmente, ma soprattutto non riuscirete a staccarvene neanche per un minuto. Io l’ho divorato, e se è vero che non faccio testo, è altrettanto vero che raramente i libri mi prendono in questo modo, lasciandomi come la sensazione di una palla dorata dalle parti del plesso solare, con la consapevolezza di aver avuto tra le mani un piccolo miracolo.

Malu ha quasi diciassette anni quando decide di intraprendere una scelta coraggiosa trasferendosi per un anno in Giappone; lascia alle spalle due genitori amorevoli, una Germania che forse non le mancherà troppo, ma porta con sé un dolore che indossa come una seconda pelle. Ha perso qualcuno, qualcuno d'importante, il cui riflesso continua a vedere in uno specchietto rotto che solo il kintsugi proverà a riparare creando qualcosa di nuovo e bellissimo. Malu si confessa, a quella persona che non c’è più, mentre visita nuovi luoghi, prova ad ambientarsi a scuola ed è la quintessenza della stranezza in confronto ai modi eleganti e raffinati dei suoi coetanei giapponesi. Lei è alta, sgraziata, distratta e molto poco abituata a tutta la tecnologia che la circonda. Se da una parte le sue avventure ci fanno sorridere, non riusciamo a non provare tenerezza per lei, così fuori posto a prescindere, come un anatroccolo in uno stagno pieno di bellissimi cigni.

 

Neanche i miei amici mi sopportano più da tempo. Mentre sono tutti impegnati al cento per cento a provare cose sempre nuove (nuova gente, nuovi caffè, nuova musica, nuovi colori di capelli, nuovi, nuovi, nuovi…), a me le novità fanno male. Cancellare appuntamenti all’ultimo momento: questa è la mia specialità.

 

Eppure, trasportata dall’altra parte del mondo, saranno proprio gli appuntamenti a scandire il tempo di Malu. La scuola, l’uniforme da provare non senza imbarazzo davanti al ragazzo più bello che abbia mai visto, Kentaro, la danza precisa della famiglia Nakano che la ospita, la bellezza di Aya e la dolcezza di Haru… tutto è un appuntamento, come se il tempo scorresse placido in contemplazione della fioritura dei ciliegi in uno degli spettacoli più belli che la natura possa offrire. Tokyo la travolge, con le sue luci e le sue strade misteriose, con l’entusiasmo di un mondo che è alieno eppure radicalmente attaccato alla tradizione. Ci sono le regole e c’è l’educazione, ogni cosa trova il proprio posto in un luogo preciso, perché il disordine non è ammesso; ed è qui che il Butō, l’antica danza che Kentaro la porta a conoscere, scardina le strutture cui il Giappone vuole rimanere attaccato, aprendo le porte a una diade imprescindibile, increspando in modo sicuro uno specchio d’acqua all’apparenza immobile.

 

«Devi sapere che in Giappone tutto quello che in qualche modo è diverso, di principio viene rifiutato. Mostrare emozioni viene considerata una debolezza. Dobbiamo sempre controllarci, fingere, per essere accettati da chi ci sta intorno. In fondo, ci opprimiamo a vicenda senza neanche rendercene conto». Fa una pausa carica di significato. «Butō infrange tutte le norme e ci ricorda cosa è davvero importante nella vita». «Che cosa?», chiedo, senza fiato.

«Il sentimento». L’oro nelle sue iridi sembra sciogliersi al calore del suo sguardo. «Sono le emozioni vere a dirti chi sei realmente».

 

Kentaro mostra a Malu la coerenza necessaria dei contrasti, presentandole un mondo che nemmeno per un attimo perde credibilità, nemmeno quando ci sono cani e gatti che sembrano umani, Pompom e Bratto Pitto, e che rubano la scena persino a un oyabum della Yakuza. Ci sono geishe e strani anziani silenziosi che spariscono da un momento all’altro, oltre che case minuscole costruite al contrario e onsen dove se sei amico di certe persone puoi entrare anche se hai il corpo coperto di tatuaggi. Di solito nei romanzi vi sono scene che rimangono impresse e altre che scivolano più leggere, come se fossero un ideale contorno che possa dare risalto alle prime; qui invece abbiamo una lunga serie di attimi principali incastrati alla perfezione, anche se alcuni, almeno a una prima lettura, sembrano brillare più di altri. Un esempio? Vi accontento subito. Come una perfetta sinfonia, l’incrocio più famoso del mondo affascina Malu, ma anche tutti coloro che sono con lei, ormai abituati a vederlo ogni giorno. Lo Shibuya è il crocevia dei popoli e la prima volta che Malu attraversa la strada è come se accadesse una piccola catarsi, come se lei fosse finalmente pronta ad accettare e a farsi accettare dalla città.

 

«In questo posto si concentra il destino. Tutte le possibilità si riversano qui. Quando il semaforo diventa verde, la tua vita può cambiare per sempre. Cinquantamila e duecento persone attraversano questo incrocio ogni giorno. Se cerchi qualcuno, vieni qui. Quando vuoi essere trovata, vieni qui. Tutte le strade portano all’incrocio di Shibuya: la natura di Tokyo segue questa regola».

 

E in realtà anche altre regole, tutte segnate dalla presenza dei demoni della tradizione, gli Yokai, che addirittura sono i padroni dei terremoti. Aya, Haru soprattutto Kentaro raccontano a Malu storie variegate, talmente interconnesse col tessuto umano da riversarsi nelle vesti, nelle abitazioni, nei portafortuna e nei gesti cerimoniosi con cui ci si inchina per un saluto o si entra in un tempio. E se Malu inizia a comprendere come muoversi, pur sempre lanciata in modo molto occidentale a velocità diverse rispetto a quella di coloro che la circondano, è anche vero che scopre le meraviglie con noi e per noi, attraversando emozioni e sensazioni che il lettore non riesce a non sentire sulla propria pelle, tanta è la maestria con cui ci vengono raccontate. E poi c’è la forza, Amici Magnetici, quella che proviene dalla perdita e dal dolore, oltre che dal rifiuto e dall’angoscia. Malu trova una nuova famiglia anche se non ha mai smesso di amare la sua. Trova un nuovo paese, anche se non odia la Germania. Trova uno scopo, uno slancio, un modo di parlare e di esprimersi con chi, per assurdo, parla la sua stessa lingua perché ha le sue stesse origini, ma la mescola con sfumature che rendono tutto nuovo e misterioso. Malu, che è l’antitesi dell’eroina avventurosa, compie gesti inimmaginabili quando è messa di fronte al dramma. Io non posso dirvi cosa succede, spiegarvi che il serpente ha scosso la coda e che le conseguenze sono state disastrose, ma posso dirvi che ogni singola persona incontrata in questo cammino, a modo suo ci tocca il cuore, ed è riconoscibile in un teatro dell’assurdo dove ognuno è necessario perché la storia abbia un senso e un motivo di esistere. Non ci sono solo ballerine, sarti o cuochi o autisti che fanno l’occhiolino; non  ci sono solo casette con strane statue all’esterno o grattacieli immensi che feriscono il cielo di lame nere. Ci sono distese d’acqua, onde che non sapevi di poter affrontare senza annegare e soprattutto una voce, nella testa, che ti spinge ad andare avanti, anche quando sembra che tutto il resto del mondo si sia fermato, anche quando sembra che tutto sia perduto. Ha ragione la Obāchan di Kentaro, quando le sfiora il petto e sussurra la parola Hanbun, incompleta, metà, riconoscendo quell’anima disconnessa che cerca un centro a migliaia di chilometri da casa.

 

«Sai cos’ha Tokyo di speciale?», sussurra infine il Jedi nel silenzio. Scuoto la testa. «Nessuno può trovarti, neanche il passato, non importa quanto sia abile a scovare i tuoi nascondigli. Devi soltanto lasciare che la città entri in te. Sa dove sei, conosce la tua strada. Tokyo ti darà quello che cerchi». Kentaro mi porge il resto del suo taiyaki. «Là fuori ci sono più metà di quante tu creda».

 

E ognuna di loro serve a costruire un nuovo mattone, per formare un muro che non è Nurikabe, il muro nero della tradizione. Eppure anch’esso, all’apparenza invalicabile e indistruttibile, può essere abbattuto, può essere dominato. Perché nulla è impossibile se solo lo si vuole fortemente e si  conoscono gli strumenti giusti. Prendendo spunto da un tatuaggio di Kentaro, uno dei tanti, abbiamo forse uno dei momenti più dolci e importanti del libro che, ripeto, non abbassa mai il ritmo e tantomeno la portata di quello che vuole trasmettere attraverso simboli o storie.

 

«Non preoccuparti, dojikko, Nurikabe può essere combattuta». «Come?» «Facendole il solletico. Anche il muro più grande e possente scompare, se lo si fa ridere». «È così semplice?» «Sì», risponde Kentaro. «Sono i nostri pensieri a farci credere che dobbiamo convivere per sempre con il dolore. A un certo punto ci abituiamo al peso dei nostri sentimenti e dimentichiamo che possiamo guarire. Ma Nurikabe non è parte di noi. Il muro nero è una condizione e le condizioni possono essere sempre superate».

«Quindi la risata è il misterioso controincantesimo?». Kentaro annuisce. «La risata e l’amore».

 

Perché è soprattutto quest’ultimo che ti fa credere di poter scavare a mani nude nelle macerie per ritrovare un piccolo pezzo del tuo cuore, che il tuo tesoro più grande lo ha incollato con rispetto e con l’oro. Perché ti spinge ad attraversare quartieri devastati anche se ti reggi a malapena in piedi, attaccare adesivi di un Pachinko Shop ovunque come fossero briciole per un viandante sperduto, chiedere aiuto a una nuova famiglia strana e pericolosa che però nemmeno per un attimo esita ad offrirtelo. Perché è il sentimento che muove le mani, i cuori e le gambe, mentre il sangue rimbomba come un pazzo nel silenzio di una segreteria telefonica infinita e in quello di un mondo che ha perso i suoi rumori e la sua voce. Perché davanti al disastro, regge la promessa che la città le ha fatto, quella di trovare sempre uno scopo, una via, un passaggio verso ciò che si è destinati a raggiungere. 

 

«Non pensare a quello che vi separa, pensa a tutte le cose che vi uniscono. Solo così il tuo cuore potrà indicarti la strada».

 

Ed è attraverso la memoria che quel sentiero si ricostruisce per diventare strada, fiume, mare impetuoso, che non si ferma nemmeno davanti al rischio di non poter tornare indietro, di non rivedere né i genitori lontani né quelli molto vicini. Perché per Malu adesso i piani sono sovrapposti; Aya e Haru sono i suoi fratelli, Kentaro è il suo destino. Tutto il resto s'incastra perfettamente in un suono nuovo che lento, ma deciso esce a spezzare il silenzio innaturale che segue le catastrofi. Eppure i templi sono sempre lì, la statua di Hachiko è sempre lì e Shibuya, adesso non più così caotica, è sempre lì. Come un cerchio che si muove, perfetto nella sua imperfezione, è sempre tutto lì, in attesa di essere visto, compreso, indossato.

 

Non sanno che, nel frattempo, anch’io mi sono fatta un tatuaggio. Nessuno lo sa, a parte Kentaro, Aya, Tasuku e io. Abbiamo lo stesso disegno nello stesso posto: un ensō, ovvero un cerchio, che ha la funzione di custodire per sempre quello che ci lega. Ma il cerchio non è chiuso. In Giappone si crede che proprio nell’imperfezione si trovino tutta la forza e la bellezza dell’universo. Ma l’interruzione della linea simboleggia anche l’accesso all’altro lato, alla misteriosa ombra di luna della nostra percezione, in cui sopravvivono coloro che abbiamo dovuto lasciar andare. Anche Maja e Rio esistono in un luogo dall’altra parte del cerchio, insieme a tutti i miracoli che non ci siamo potuti spiegare.

 



 


 
 
 
 
 
 
Grazie alla CE per averci fornito l'eBook
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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