Emerson Shaw pensava di essersi lasciata alle spalle la sua vecchia vita, ma, quando torna a casa per il matrimonio della sua migliore amica, trova il suo passato che la sta aspettando per reclamarla.
Cupo e distrutto, Lincoln Daniels non era mai stato interessato alle relazioni, almeno fino a quando non aveva incontrato Emerson. Quella che era iniziata come una timida amicizia si era intensificata rapidamente, tuttavia neppure l’amore era bastato per costruire con lei qualcosa di duraturo.
Per il ragazzo che mi ha rubato un pezzo di cuore, e l’uomo che non me l’ha mai restituito.
Ci sono pagine bianche dove le dediche prendono vita così, con una manciata di inchiostro che ti rimbalza davanti agli occhi netta, precisa, dolorosamente consapevole. E come se non bastasse, nella pagina successiva, altrettanto bianca, ecco comparire quell’epigrafe che pone un mattone sopra le tue illusioni, incisiva e senza scuse.
Non importa quanto dolore abbia causato, non importa quante lacrime siano cadute, a volte non è destino che sia amore, e i “se” sono tutto ciò che resta.
A discapito di quanto sopra, il romanzo prende il via con la gioia di un lieto ritrovo, per il matrimonio di una coppia di amici di lunga data che finalmente, dopo molte vicissitudini, può coronare il sogno di una vita insieme. Tra gli invitati non possono mancare la migliore amica della sposa, Emerson, e Lincoln, legato allo sposo, che non si vedono da circa un anno e si ritrovano dopo un addio non troppo felice in un aeroporto che ha visto decretata la parola “fine”. Tutto quello che avviene, da questo momento in poi, è il lunghissimo flashback della loro storia, dal primo incontro fino a quando si trovano a fissarsi come anime smarrite da un lato all’altro di un’enorme stanza circondati dagli invitati alle prove della cerimonia. Come sempre è avvenuto, non importano né il luogo né il contesto; quello che è intorno smette di esistere e restano soli come poli opposti che non sanno rimanere separati perché spinti l’uno verso l’altra in modo ineluttabile. Stante le premesse voglio essere sincera; per tutta la durata del romanzo, non ho mai avuto la certezza di come sarebbe andato a finire. Ma andiamo con ordine. La narrazione è tutta in prima persona dal punto di vista di Emerson, ma questo non toglie niente all’altro protagonista; Lincoln si erge come un meraviglioso principe oscuro dai meandri di un college in cui gli altri studenti sono ombre furtive, piccoli pesci in un acquario troppo grande dove possono solo muoversi velocemente sperando di non essere sbranati. È la stella della sua squadra, coltiva il progetto di diventare medico sportivo, ha una pletora di donne cui non si lega se non per il tempo di una notte e, soprattutto, un passato che lo tormenta. Fin qui, troviamo tutti gli ingredienti standard del cattivo ragazzo che ci piace tanto e che magari irretisce la giovane innocente scelta come bersaglio per smuovere la noia di un’esistenza superficiale e ripetitiva. Le apparenze ingannano perché ben presto, quello che sembrava già visto, finisce per rivelarsi un po’ diverso. È indubbio che Emerson e Lincoln siano agli antipodi della scala sociale, e più avanti scopriremo quanto questo sia rilevante soprattutto per il cognome che la giovane porta, ma entrambi sono accomunati da un disagio profondo che, per motivi diversi, si impongono di nascondere. Emerson ha un fidanzato approvato dalla famiglia, ma ha scelto di dedicarsi agli studi di Design per fuggire, almeno in parte, al controllo di chi vorrebbe per lei una vita incanalata nei binari prestabiliti accettabili per l’alta società. Lincoln è solo, un albero spoglio sulla cima di un precipizio, le cui radici non sanno se lottare per rimanere ancorate al terreno o meno. Il vuoto è un punto di non ritorno, ma diviene allettante quando tutto quello che ti circonda smette di avere senso o il passato torna ad artigliare il petto con la sua morsa di ghiaccio; anche Emerson lo conosce e lo cerca inconsciamente addirittura, quando il panico le stringe la gola e si rannicchia per terra scossa dai tremori. Non è un caso che uno dei momenti più intensi tra loro sia quando lui, praticamente un estraneo, trova il modo di ancorarla a terra durante una crisi, cercando di strapparla a un buio apparentemente senza fine. E forse riesce a farlo non tanto perché studia medicina, ma perché conosce i meandri della disperazione soffocata, anche se si rifiuta di parlarne e di aprire uno spiraglio sulla sua vita.
Lascio scivolare lo sguardo su di lui e riesco a vedere l’oscurità che filtra dalle crepe. Ed è quell’oscurità che mi attira, perché in un certo senso è proprio come la mia.
Come ci potremmo aspettare, Em non ha alcun timore nel porgli domande, quando in modo inaspettato decidono di instaurare questa strana amicizia che non sappiamo dove sia destinata a condurli; al tempo stesso l’attrazione innegabile tra loro deve essere tenuta sotto controllo, per evitare che questo fragile rapporto appena nato cui entrambi tengono moltissimo si distrugga in una fiamma implacabile.
«E mi piace uscire con te, Em.» «Perché?» sussurro. «Perché cosa?» «Perché ti piace uscire con me?» Lincoln si passa le mani sul viso prima di bloccarmi con uno sguardo. «Perché plachi le mie tempeste. Non ho molte persone intorno a me su cui posso contare.» La sua voce si abbassa. «Mi piace contare su di te. Forse più di quanto dovrei. Perché dovresti sapere che prima o poi farò una ....... e rovinerò tutto. Qualunque cosa sia.»
C’è un tempo scandito in modo nervoso, ma implacabile e non è solo il loro. Perché la storia copre gli anni del college, con una lunga parentesi in cui la giovane si trasferisce oltreoceano per dei crediti extra e per prendersi una pausa da tutto quello che la sta travolgendo, ma sembra in realtà durare quanto un battito di ciglia, per il modo in cui queste due persone rimangono legate anche se non si vedono, non si parlano, non sanno niente l’una dell’altra. Ed è proprio qui, tra le pagine scombussolate da una dedica implacabile e un’epigrafe ancora più letale, che giace quell’inevitabile consapevolezza che attanaglia tutto il romanzo e i suoi protagonisti. Emerson e Lincoln esistono con una certezza tatuata sotto pelle e combattono per vivere quella possibilità, nonostante inquini il presente che tentano comunque di vivere e di aggiustare secondo i canoni di ciò che la società definisce “normale” o almeno pretende come tale. Non possono essere zittiti così come non può essere disconosciuto l’inevitabile dolore del trovare la propria anima gemella a diciannove anni e finire col vivere tutta la vita rimpiangendola, con la consapevolezza di aver perso la parte migliore di te, che con quella precisa persona rifioriva e al tempo stesso combatteva per accettarsi, in uno scambio continuo di incertezze che avresti voluto poter mettere in discussione ogni singolo giorno. Se è vero che un fuoco che brucia così tanto è destinato a lasciare cicatrici indelebili, rimane il muro invalicabile contro cui entrambi, per motivi che scopriremo proseguendo nella lettura, si scontrano. «Alcune cose non sono destinate a esistere, non importa quanto lo desideriamo.».
E se da una parte le seconde e le terze possibilità bussano alle porte, quel sentimento è sempre lì, una croce difficile, ma inevitabile da portare, perché ormai fa parte di loro e lasciarla andare significherebbe snaturarsi: «Mi permetterai di sistemare le cose?» Incapace di trattenermi, sorrido e annuisco. «Bene.» Respira, sorridendo a sua volta. «Perché…» «Perché cosa?» lo interrompo. «Sei nelle mie vene, e io voglio essere nelle tue.».
Come in una canzone precisa che sa di rimpianto, le note si intrecciano e scelgono la partitura più adatta, quella che il resto del mondo non può capire, ma che inevitabilmente è destinata a loro.
Alla radio parte Black, dei Pearl Jam, ed entrambi ci allunghiamo verso il volume per alzarlo. Le sue dita sfiorano le mie e indugiano. Poi, inaspettatamente, mette la mano sulla mia e intreccia le nostre dita, portando le mani unite sul cambio.
Sono i piccoli gesti, quei riti che conosci e che ti artigliano alla gola a fregarti, ed entrambi ne sono perfettamente consapevoli. Non voglio dirvi di più, amici Magnetici, perché è un romanzo che va assaporato nelle sue sfumature decise, nei suoi momenti lucidi e in quelli poetici, come se fosse un piccolo gioiello da custodire. Ho letto recensioni e valutazioni contrastanti sulle piattaforme straniere e alcune di esse mi hanno lasciato perplessa a chiedermi se io abbia letto lo stesso romanzo. La traduzione è ineccepibile e l’edizione estremamente curata; se questi due aspetti abbiano migliorato o meno l’originale non posso sostenerlo, dovrei leggere la versione in inglese per farmi un’idea, ma mi tengo il piacere di averlo letto in italiano senza andarmi necessariamente a complicare la vita. La lettura scorre piacevole, intensa, dolorosa a tratti come è giusto che sia; alla fine abbiamo tra le mani la storia di due persone che sono inevitabilmente legate e che devono fare i conti con cose più grandi di loro, fraintendimenti, ostacoli soggettivi e oggettivi, traumi che non possono essere ignorati. Avrebbe potuto essere scritto meglio? Non lo so, e poi chi sono io per giudicare? Credo che i protagonisti siano delineati in modo intelligente e, diversamente da quanto spesso avviene, non vi è una stagnazione sulle tragedie personali, non vi è un reiterato senso di ineluttabilità come se tutto fosse deciso da un regista impavido e insensibile che muove gli attori a proprio piacimento senza un attimo di tentennamento. Sia Emerson che Lincoln sono consapevoli di quello in cui stanno scivolando, e lo fanno premendo il piede sull’acceleratore. Non sono ingenui, non sono illusi, non sono poeticamente “predestinati”: sanno di andare incontro a una catastrofe illuminata da un cartello con la scritta “tragedia” a caratteri cubitali e non chiedono mai scusa. Questo non ci impedisce di amarli, nemmeno per un attimo, e di volerli accompagnare senza indugio in tutte le loro scelte, anche quando queste ultime li allontanano per forza di cose. Ci vuole coraggio e loro ce lo insegnano, tenendosi per mano, non pretendendo niente, non sovvertendo alcuna regola del mondo, ma semplicemente restando l’uno al fianco dell’altra, anche se passano gli anni, le storie, i traguardi, e migliaia di chilometri.
«Penso ancora di non essere abbastanza per te. Ho avuto una vita incasinata e ho fatto un sacco di errori, per la maggior parte dei quali sto ancora pagando. Insomma, perfino i miei problemi hanno dei problemi.» La sua voce assume un tono straziante. «Ma… se sei disposta a provarci, lo sono anch’io.» Quel nodo familiare in fondo alla gola fa improvvisamente ritorno. «Lo dici perché hai paura di perdermi?» chiedo. Stringo forte le palpebre, preparandomi a qualsiasi parola lui stia per dire; in qualche modo so che mi ucciderà. Lincoln emette un respiro controllato mentre mi guarda. «In parte. Non riesco a immaginare un mondo in cui tu non esisti» risponde.
Schiudo le labbra e mi sembra che mi serva un’eternità per riprendere fiato. «Anzi, non voglio vivere in un mondo in cui tu non esisti. Capisci?» Le lacrime mi scorrono lungo il volto, e lui si fa impaziente per via del mio silenzio.
Questo non è un romanzo facile, cari Magnetici, l’ho sentito nelle ossa fin dal titolo, e mi ci sono buttata a capofitto come quando le storie ti catturano e, a modo loro, hanno dita lievi che sfiorano la tua. Emerson e Lincoln vanno oltre quello che è giusto e sbagliato, quello che è socialmente accettabile e discreto. Hanno paure, sogni, e crepe profonde; alcune pregresse, ma altre, le più terribili, se le sono procurate a vicenda, a volte in modo inconsapevole. Eppure restano lì, come cicatrici, come un monito lapidario a ricordare a tutti che, qualsiasi sia il prezzo da pagare, niente, niente può essere più importante del poter stare, finalmente, insieme.
«Mi manchi. Così tanto. Mi sei mancato ogni singolo giorno in cui non siamo stati insieme. Dal momento in cui ci siamo incontrati. Non ho fatto altro che sentire la tua mancanza»
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