Fiscalista tutto d’un pezzo di giorno e lettrice di gialli di notte, Violante ama il mistero, ma di solito se ne tiene ben alla larga. Eppure, durante una festa organizzata da un’amica nel suo appartamento in Brera, è proprio il mistero a trovare lei. Dopo l’incontro con Amedeo, irresistibile collega con cui c’è un’intesa istantanea su un terrazzo illuminato dalle luci di Milano, la serata prende una piega del tutto inaspettata: lo splendido quadro che avevano notato nel lussuoso appartamento di fronte – linee spezzate, colori accesi, forse un’opera futurista di Umberto Boccioni – svanisce nel nulla. Che qualcuno si sia introdotto furtivamente nell’appartamento e l’abbia trafugato proprio mentre erano persi nei loro discorsi? Violante non esita un secondo e decide di andare a controllare. Insieme ad Amedeo si intrufola nell’appartamento in cerca di indizi. Detective improvvisati per nulla abituati all’avventura, i due si lanciano in un’indagine che li condurrà a caccia di vecchie agende e quadri dimenticati. In una Milano di luci e ombre, arte e segreti, quello che è iniziato come un gioco potrebbe però nascondere insidie che Violante e Amedeo neanche immaginano... Saranno pronti a rischiare tutto, compreso il loro cuore?
«In ogni caso, vediamo di rifare le cose a modo mio: Vivi, lui è mio fratello Clemens. Clemens, lei è la mia meravigliosa amica Vivi. Siete entrambi fiscalisti e, siccome ai miei occhi il vostro è un mondo inconcepibile nonché incomprensibile, ho ritenuto inderogabile che vi conosceste».
È con le parole di Jeanne che decido di aprire questa recensione, Amici Magnetici, il terzo moschettiere protagonista del nuovo romanzo di Anna Premoli, oltre che il personaggio che forse ho amato di più. Non me ne vogliano assolutamente né Violante né Amedeo, coppia in stato di grazia che scivola lungo le pagine come fossero compagni di tango da decenni, ma con Jeanne e la sua sfacciata e allegra follia ho subito trovato un’intesa. Va da sé, così ci togliamo tutti i dubbi, che spero arrivi presto un libro a lei dedicato, a lei e a qualcuno di cui davvero non vedo l’ora di leggere ancora. Mi fermo, perché rischio lo spoiler, dunque torniamo indietro e procediamo per gradi, come si conviene. E a proposito di convenienza non so bene da dove iniziare quando si parla di un libro scorrevole oltre ogni dire, piacevolissimo e scritto in modo impeccabile, grondante d’ironia, battute brillanti e personaggi così vicini a noi che sembrano quasi uscir fuori dalle pagine, prendendosi vita e spazio come fosse loro di diritto. Amedeo, Violante, Jeanne, Marco (ebbene sì, lo chiamo Marco), l’allegro gruppetto di anziani capitanati dalla nonna Elisa, esperta di arte e profondamente legata ai nipoti, tutti contribuiscono a creare un’atmosfera ricca e animata, dove un semplice e fortuito caso diventa motore principale che sfuma di giallo un romance fuori dagli schemi, che ti prende dalla prima all’ultima pagina. Perché basta un brunch sul terrazzo a casa di Jeanne, in una Milano invernale, ma non impietosa, per assistere per puro caso a un evento stranissimo; nella casa di fronte movimenti strani nel buio catturano l’attenzione di Violante, e poi di Amedeo, e da lì una serie di improbabili quanto rapide decisioni li porterà addirittura a rischiare di essere arrestati per effrazione, non fosse che l’appartamento in questione, da cui un quadro è misteriosamente scomparso per poi riapparire nelle ombre, sia tutt’altro che chiuso a chiave. La monotonia rassicurante di una vita abitudinaria si spezza quando, spronati anche dallo spirito sbarazzino di Jeanne e, perché no, una sana follia che parrebbe estranea a due persone che per lavoro giocano con numeri inflessibili, quello che pareva solo un episodio di poco conto diventa un’indagine vera e propria, sulla trama di una storia che s’intreccia con gli autori del Futurismo e una collezione di tutto rispetto di proprietà della famiglia Ghezzi. Il passato, riportato alla luce dai ricordi degli amici novantenni di Elisa, dalle foto in bianco e nero che hanno il sapore dei ricordi e dalla polvere di cui si ammantano le soffitte abbandonate, vuole riappropriarsi del proprio ruolo, scandendo con precisione gli attimi della ricerca, dell’analisi e dei confronti che questi moderni e improvvisati detective cercano di mettere insieme. Amedeo è la voce della ratio, mentre le due donne sono il motore esasperato che gira oltre il numero raccomandato col rischio di fondere tutto; poco importa però perché insieme, come un magico trio, si completano e bilanciano vicendevolmente.
Sulla carta Amedeo non sembra la persona con cui ingaggiare una simile partita, stretto com’è nel suo completo grigio scuro, severo e dal perfetto taglio sartoriale. La cravatta è blu, senza fronzoli, a testimoniare una predilezione per le scelte sensate e razionali. Nemmeno a farlo apposta, anch’io ho indosso un tailleur pantaloni grigio, sebbene il mio sia gessato.
Nonostante la precisione inequivocabile del percorso che ha scelto, Violante è consapevole della parte di se stessa che scalpita e che sempre più vuole vedere la luce. I binari delineati e immobili creano un senso di pace che è in parte prigione e, anche per questo motivo, non ha alcun timore a gettarsi a capofitto in qualcosa che può scardinare completamente le sue abitudini. In questo rappresenta l’ago della bilancia mentre Amedeo, nonostante le responsabilità e il ruolo di erede dello studio di famiglia, ha meno freni apparenti e osserva con spirito analitico, ma sornione, creando uno dei personaggi maschili di cui ho amato di più leggere negli ultimi mesi. Si combinano come il caffè con la panna, per dire, creando un gusto oltre il gusto semplice dell’abbinamento, al di là di rigidi completi e atteggiamenti che ben presto, soprattutto davanti a domande molto precise da parte di un certo ispettore, si scioglieranno come neve al sole.
Abbiamo dunque una moderna Signora in Giallo accompagnata da superbi comprimari, potreste pensare, invece vi dico di più; il romanzo ha l’enorme merito, tra l’altro, di intrattenere con un ritmo divertente e serrato, ricco di colpi di scena e scelte avventate, personaggi secondari che non ci pensano nemmeno per un secondo a rimanere tali, e una serie di battute esilaranti che mi hanno alleggerito il cuore. A tutto questo, ed è un elemento di non poco conto, va aggiunto che la scrittura della Premoli ti catapulta come sempre nel luogo di cui sta parlando grazie ad uno stile fresco, diretto, ben consapevole del peso di ogni singola parola. Ci troviamo quindi a camminare per Milano, percorrendo con tacchi troppo alti i marciapiedi in pavé per raggiungere Brera, mentre i profumi di una città sempre di corsa, con i suoi bar affollati, le sue luci, e i ristoranti dove gli habitué decidono di trovarsi di solito, ci abbracciano con la dolcezza di un Irish Coffee che fa tanto anni Novanta. Ci sono le nubi e i cieli tersi di Dicembre, oltre che le luminare di un Natale che adesso sembra solo un giorno come un altro se paragonato a un mistero tutto da scoprire.
«Amedeo, siamo in quella meravigliosa terra di mezzo dove ci sembra di iniziare a conoscerci, ma ancora non a sufficienza da poterci ferire o usare certe informazioni riservate per lanciare dardi avvelenati. Non pensi che dovremmo rimanere lì? Al sicuro?».
Mentre i sentimenti si fanno spazio timidi, tra ricerche sempre più serrate emergono i quadri e la storia, dove Boccioni tiene banco con i suoi dipinti e la prematura morte, oltre che una costruzione sapiente che tanto ci dice dello studio che deve essere stato compiuto dall’autrice. In modo naturale siamo trasportati agli inizi del Ventesimo secolo, quando un gruppo di artisti decide di rompere col passato e proiettarsi verso un futuro veloce e inarrestabile ricco di luci, ombre e movimento, deciso come le pennellate implacabili delle loro opere. In bilico tra certezza e dubbio, il romanzo si snoda puntuale tra i due estremi, come un intenditore che paziente analizza in modo minuzioso quella che potrebbe rivelarsi alla fine una copia perfetta, ma pur sempre una copia. Il colore è gettato sulle tele e le sculture prendono forma, così come le idee dei nostri protagonisti che si lanciano, anche in modo abbastanza rocambolesco, in un’avventura che potrebbe rivelarsi tutt’altro che semplice e di certo non priva di pericoli.
A vederci oggi, verremmo giudicati come due persone con la testa sulle spalle. Ma siamo pur sempre le stesse persone che dieci giorni fa si sono intrufolate nell’appartamento di chissà chi alla ricerca di non si sa bene cosa. È stata una sfida? Un’avventura? Una risposta francamente non ce l’ho.
Non ce l’ha Violante e come lei nemmeno Amedeo o Jeanne; per non parlare di quanto la polizia possa essere messa in imbarazzo dai tentativi di questi improbabili investigatori dell’arte che, per una serie di motivi incastrati in modo strano, si trovano a seguire tracce e persone, fino a scavare nel web e cedendo anche alle lusinghe di appuntamenti di facciata. Il ritmo è tenace, senza cedevolezze, autorevole come Amedeo prima di lasciarsi trascinare dalle due donne, frizzante come gli scambi tra Jeanne e un certo ispettore. Abbiamo tra le mani un piccolo gioiello, un modernissimo connubio di giallo e rosa, scritto con la sagace precisione che caratterizza la penna di quest’autrice che, ancora una volta, scrive ed è come se dipingesse, lasciandoci felici della nostra scelta come un acquirente soddisfatto durante un’asta andata a buon fine, dove si vince anche solo per aver partecipato.
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