Katarina Kranjec, è solo una ragazzina quando per uno scherzo del destino arriva in Scozia dalla Slovenia. Non conosce il proprietario del maniero, come il suo futuro che, nelle sale disadorne di quella buia dimora, diventa sempre più oscuro.
Un quadro ritrae il lord che la ospita e nell’osservare i tratti del giovane e potente uomo, prova per la prima volta qualcosa che la scuote profondamente: un’attrazione cocente.
Lei è pura come un raggio di sole, lui è un dannato che ha venduto la sua anima al vizio. Fingere che lei non ci sia e ignorarla diventerà per Alexander l’unico modo per proteggerla da sé e per non trascinarla nel suo buio fatto di perversione. Peccato non aver fatto i conti con l’unica cosa che mai avrebbe immaginato: l’innocente sensualità della giovane.
Un castello disadorno, un piano malvagio tramato alle spalle di tutti, un desiderio impossibile persino da immaginare. La luce e il buio che si scontrano per creare qualcosa di sconosciuto.
Dirty Innocence, liberamente ispirato al romanzo Il ritratto di Dorian Gray.
Alexander possedeva il fascino della corruzione e del potere sfacciato, oltre che denaro a sufficienza e un castello così grande da potercisi perdere, ma non era questo che affascinava Hunter. Di lui gli piaceva che non avesse limiti tangibili e quella sorta di sensazione di onnipotenza che gli faceva provare ogni volta che si accomodava tra quelle mura.
(The Hunter _ Laura Pellegrini)
Lui nacque dal piacere aberrante di essere l’incarnazione della lussuria. Nacque dal buio per risplendere come Re Sole nel cielo plumbeo di una primavera appena iniziata. Nudo. Bellissimo. Finalmente certo del ruolo che di lì in avanti avrebbe assunto.
Talvolta noi accaniti lettori siamo molto fortunati con le nostre scelte perché alcuni romanzi ci restano appiccicati addosso per come sono scritti, per il contenuto e lo straordinario modo che hanno di artigliarti il cuore. Io ho amato moltissimo “The Hunter”, perché sia White che Hunt sono scivolati come una dolorosa promessa mantenuta, su pagine di finissima poesia, senza mai perdersi se non dentro quello che hanno sempre provato l’una per l’altro. Può succedere però che in un’armonia di elementi che si susseguono in modo perfetto, ve ne sia uno dissonante incastrato nell’insieme, che ti lascia senza fiato e con la necessità di averne di più. Un esempio? Alcuni personaggi, che per forza di cose siamo costretti a chiamare secondari, in quel ruolo ristretto proprio non ci vogliono stare e dunque gridano a gran voce rivendicando la propria luce. Immaginare Alexander Henry McLean scalpitare per ottenere attenzione risulta davvero difficile da immaginare, perché lui la scena se la prende in silenzio imponendosi con la sola presenza; era quindi inevitabile che alla fine l’avesse vinta e che la mano dorata di quest’autrice dovesse assecondarlo. Ho scelto non a caso di citare la sua prima apparizione perché, nonostante “Dirty Innocence” possa essere slegato dal libro appartenente alla Blackwood Castle Series, dà valore ai sentimenti contrastanti che fin dal principio, in un contesto dove comunque ha un ruolo relegato a poche seppur fondamentali scene, scatena in chi legge. Alexander si impone con la certezza che presto avrà vita propria su una carta a lui esclusivamente dedicata, perché sono connaturate alla sua essenza sia la prevaricazione sia la consapevolezza di essere al centro del mondo. Il modo in cui si muove come un burattinaio gelido e indifferente nelle vite di coloro che hanno la fortuna di poter trascorrere del tempo con lui è altero come il suo stile, severo come lo sguardo che rapace scivola sugli altri per coglierne il piacere che decide di strappare. A lui tutto è concesso perché ha fatto in modo che questo potesse accadere. Poco importa che dietro quell’involucro bellissimo sia assemblato uno scheletro di dolore e rifiuto, quello con cui è cresciuto e che l’ha segnato in modo indelebile, perché lui gioca su piani che gli altri non comprendono, deus ex machina dolente al pari di un demone non smascherabile.
Come la sua dimora, il conte di Sutherland ha stanze nascoste e strappi da ricucire, moderno Dorian Gray che delinea sentieri in cui il piacere, al di là dell’essere fine a se stesso, è linea diretta per l’agognato oblio. In questo, tra l’altro, risiede la forza innaturale di quest’uomo, perfettamente consapevole del proprio grado di corruzione per cui non prova né vergogna né rimorso. Abbiamo di fronte a noi un personaggio che buca le pagine semplicemente infischiandosene delle conseguenze, abile calcolatore e re della scacchiera in cui tutti gli altri sono pedoni sacrificabili. Eppure, come un vento gelido carico di neve proveniente dalla Slovenia, ben presto il bianco e il nero schierati si mescolano per poi disperdersi quando, costretto dalla madre, deve ospitare al castello Katarina, figlia della cugina della contessa giunta in Scozia da Lubiana. La giovane, non ancora maggiorenne, è quanto di più lontano da ciò che conosce e scatena, di conseguenza, una serie di pensieri contrastanti.
Serrò la mascella e si irrigidì, certo che questo sarebbe bastato a proteggerlo ma quando la vide avvampare sotto il suo sguardo indolente, perse quasi le staffe. Dovette abbandonare il braccio della madre e allontanarsi verso il carrello dei liquori, perché lui era avvezzo a tutto, agli uomini, alle donne, al sesso sporco e spinto, ma non alla purezza. Lei era una colomba bianca che la contessa voleva rinchiudere in una gabbia di depravazione, con lui che di quel castello era il re. Scolò in un solo colpo metà bicchiere, fermò lo sguardo oltre la grande finestra che dava sul giardino e attese per lunghi momenti che la cena fosse finalmente servita.
Il loro primo incontro è tutt’altro che piacevole, perché tanto lei è terrorizzata dall’improvviso viaggio cui è stata quasi costretta, quanto lui è refrattario ad accettare di farla vivere con lui. Nonostante il romanzo sia in terza persona, quindi lontano dall’uso dei punti di vista alternati cui ci siamo rapidamente abituati, non vi è un solo cedimento nella caratterizzazione delle emozioni che contraddistinguono i due antagonisti, che come tali si comporteranno per tutta la durata del libro. Katarina è innocente e giovanissima; soffre ancora per la perdita del padre cui si aggiunge adesso anche l’allontanamento dalla madre. In Scozia la accolgono campi verdi e cieli dispettosi che alternano sole e nuvole in giochi continui, mentre i venti impetuosi sembrano scuotere le spesse mura dell’antica dimora. Non è cieca davanti alla meraviglia di questa terra, ma è dilaniata dalla mancanza di ciò che conosce e che le è sempre appartenuto. Nella terra degli elfi, delle fate e persino dei draghi, Katarina è accolta con freddezza dal padrone di casa e con gioia da tutti coloro che lavorano al castello, modernissima Belle in un luogo a suo modo non privo di incanto.
Lui era un dannato che amava se stesso al di sopra di ogni cosa, non era avvezzo agli slanci d’affetto. Avrebbe finito per trascinarla nel proprio sudiciume, l’avrebbe infangata e poi subito dopo disprezzata per il semplice fatto di essere nata. Una colomba alle porte degli inferi, questo era Katarina, e lui, per lei, non era altro che Ade in persona pronto a sbranarle il cuore.
La connessione tra i due è però immediata, tanto che Alexander decide di ignorarla il più possibile, ma è proprio qui che si rivela la forza di volontà della ragazza. Pur appartenendo a una famiglia abbiente e con radici nobili mai dimenticate, Katarina è decisa, testarda, oltre che artista ed eccellente musicista. Lei riporterà in vita stanze che parevano destinate a rimanere chiuse, la polvere sparirà da sotto i tappeti logori e il personale troverà un’altra persona di cui prendersi cura. Come il castello, Alexander impara a riconoscere quel tocco di cui però deve privarsi, perché è impossibile pensare a qualsiasi tipo di coinvolgimento con colei che, poco più che bambina, gli è stata praticamente affidata. Si sono a malapena incontrati, ma già la morsa dell’insoddisfazione e della curiosità si fa tenace. Sradicata dalla propria casa, turbata dal viaggio affrettato che la madre malata ha mascherato come il desiderio di farle conoscere il mondo grazie all’ospitalità della contessa, Katarina impone la propria presenza gentile, ma ferma, con condizioni che nessuno si sognerebbe di porre a un uomo che ottiene tutto quello che vuole senza nemmeno chiederlo.
«E poi c’è la ragazza, mio signore» sentì. Gli bastò questo per percepire lo stomaco stringersi. Tolse la mano di Franz dalla coscia, e trovò una posizione più consona sul sedile. «In che senso?» «Non mangia, signore. Da quando è qui non c’è stato giorno che abbia fatto un pasto completo.» Gettò lo sguardo oltre il finestrino. «Anche Mildred ci ha provato. Vuole sapere qual è stata la sua risposta? “Mangerò quando lui tornerà”.»
È così, con ricatti semplici e ingenui, che Katarina e la sua musica provano a scavalcare l’entropia di quell’uomo bellissimo e solo, che si muove sul palcoscenico che ha allestito come un esperto intenditore dell’umana dissoluzione. Di lui conosciamo tutto, e molto abbiamo appreso proprio grazie a Hunter Lennox, persino quel senso di rarefatta tranquillità con cui affronta le vittorie che gli scivolano tra le dita. Ricco, caparbio, astuto nelle scelte, è consapevole che il Ventesimo secolo non sia poi così distante dal retaggio nobiliare obsoleto cui la Scozia è ancora legata, e con essa le famiglie che nei matrimoni con ricche e giovani ereditiere possono risollevare le sfortunate sorti finanziarie. Possessivo e geloso con Katarina, come mai con nessuno, è costretto a fare i conti con i desideri altrui mettendo in discussione i propri; comprende il valore delle persone per la prima volta, mentre il desiderio di rifuggire qualsiasi responsabilità si affievolisce. È difficilissimo parlare di questo libro, se non immaginando di farlo dal punto di vista del protagonista stesso. Alexander è il libro, tutto, ma l’enorme pregio è stato quello di affiancargli una controparte altrettanto capace, fiera, dolorosamente consapevole della propria identità e della prigione dorata in cui si trova a vivere. Katarina avrebbe potuto essere un’appendice, messa in relazione a una personalità così travolgente, invece gli ruba la scena giocando con lui, consapevole del proprio potere e sfruttando la propria arte come una giovane ninfa pronta a irretire il dio crudele e senza scrupoli di turno. In tutto questo un corollario di personaggi secondari si muove con grazia sulle note dei walzer che lei suona, dandole l’affetto che le manca, la sicurezza che voci amiche risuonino per i corridoi anche quando tutto le fa pensare di essere sola. Elisa, Mildred e soprattutto Wilmor sono i mattoni che tengono in vita un castello altrimenti profanato solo da sussurri strozzati e corpi indolenti, la nuova famiglia da cui è accolta come una principessa che sa, fin dal principio, di non avere alcuna speranza di trovare un principe. E al tempo stesso sono un sostegno per Alexander che, nonostante tutti i suoi sforzi per impedirlo, dovrà comprendere che vi sono persone che tengono a lui fin da quando era un bambino. La notevole differenza d’età e di esperienza è un monito da tenere bene a mente, ma quanto è difficile fare la scelta giusta se ogni fibra del tuo essere è rapita come dal canto di una sirena? La forza di Katarina sta tutta qui, nel riconoscere cosa desidera e fare in modo di sopravvivere in quel desiderio, conscia che le sue scelte avranno una ripercussione e al tempo stesso dilaniata dalla necessità di tornare a casa per riabbracciare la madre e ritrovare se stessa. Cosa succede se quello che pareva un’imposizione all’improvviso si rivela un’ancora cui aggrapparsi per aprirsi finalmente alla possibilità? Tra i molti pregi di questo romanzo, vi è di certo quello di non far crollare i muri dei personaggi principali grazie a cliché abusati. Alexander non cambia, ma si trasforma; troppo radicate sono in lui le caratteristiche che lo contraddistinguono e ridurlo a un principe alla mercé della fanciulla pura e delicata sarebbe stata la rovina di un uomo che è perfetto esattamente come è stato concepito fin dall’inizio. Il fatto che sia toccato dal candore di Katarina non gli fa perdere un grammo dell’oscurità che lo caratterizza, ma in quell’oscurità trova un nuovo modo di respirare da uomo libero. Le catene che entrambi decidono di indossare sono armature e al contempo spinta a volare, come se negli opposti non si frammentassero, ma imparassero a scrivere una storia con un inchiostro che appartiene solo a loro e a nessun altro. Non c’è bisogno del lieto fine canonico perché è intrinseco nei protagonisti stessi; vi sarà sempre la musica e vi sarà sempre il dolore, intrecciati in un abbraccio che non deve somigliare a nessun altro, in una danza ininterrotta che non vuole appartenere se non a coloro che l’hanno inventata.
I suoi occhi furono l’unica cosa a cui pensò. Erano la cosa più bella e terribile che avesse mai provato addosso, la scaldavano atrocemente ma al contempo la ferivano in ogni dove, lasciandola storpia di un sentimento reciso come un fiore troppo presto staccato dal suo gambo. Lui era il rumore di una parola detta troppo forte, il sibilo fortissimo del silenzio che le soggiogava il cuore strappandole l’anima e nel rendersi conto di tutto questo, nel toccare con mano quanto fosse sfinente essere guardata da lui in quel modo atroce ma altrettanto bellissimo, terminò il brano mozzandolo prima della fine. In apnea. Conscia di aver sbagliato tutto, ancora una volta.
E quindi cosa dirvi di più, amici Magnetici? Volevo scrivere una recensione migliore, ma non so perché mi si attorcigliano le parole. Non è un granché come giustificazione e vi prego di perdonarmi. Se non lo avete capito, allora ve lo dico in modo chiaro, perché non vi sia spazio per alcun dubbio. Questo libro merita di essere letto. Perché salirete a cavallo e vedrete campi di smeraldo che solo la Scozia vi può regalare. Perché sentirete sulle labbra il retrogusto dello scotch Lennox mentre le fiamme si muovono sinuose nel camino e fuori infuria una tempesta implacabile. Perché sentirete i vostri passi echeggiare lungo corridoi infiniti e scoprirete passaggi segreti che tentatori vi chiedono di oltrepassare quelle porte per perdervi nei bozzetti di una mano giovane, ma sicura, in grado di cogliere tutte le sfumature di un uomo a malapena conosciuto. Perché vi sentirete forse a disagio osservando il modo in cui i corpi sono solo strumenti per rincorrere quella parte di sé che pare fuggire, mentre l’amaro in bocca resterà lì come un pugno nello stomaco a ricordarvi i numerosi motivi per cui dovreste sentirvi ingiustamente immeritevoli. Perché ci saranno le lacrime e le risate, la complicità e l’amore di una madre che vuole per la figlia lo stesso amore che ha avuto lei, immenso, devastante e per questo difficile da vivere, ma sempre, sempre, meritevole del tentativo. Lo dovete leggere perché ci sono storie che sono fatte per essere sentite sulla pelle e per il fuoco che arde negli occhi di chi ama in segreto, ma non ha paura di confessarlo, come se il burrone fosse un semplice salto e non il capovolgersi del mondo sul proprio asse. Lo dovete leggere perché Alexander merita che lo odiate e lo adoriate al tempo stesso, anche se lui non avrà alcun riguardo e poserà gli occhi una seconda volta solo su quella colomba che non può stringere troppo forte tra le mani. Lo dovete leggere per il riscatto e la potenza di cui sono intrise le parole, sorelle dei paesaggi impervi della Scozia e delle nevi gelide della Slovenia, che vi accoglieranno con la cura da dedicare a un viandante smarrito. È tutto chiaro adesso? Vi servono forse altri motivi? Ve ne darò uno e poi prometto che non dirò più nulla. Lo dovete leggere perché nessuno salva nessuno e perché se l’Impossibile è il padre di tutti i sogni, allora è anche vero che quando si rivela è come un walzer che non lascia respiro, dove tutto viene alla luce restando meravigliosamente aggrappato al proprio buio.
«Un uomo cattivo non può avere un posto come questo nel suo giardino. Un uomo cattivo e senza sentimenti non potrebbe mai apprezzare tanta bellezza perché non avrebbe cuore per accoglierla.» Gli mise una mano sul petto spiazzandolo del tutto. «Perciò è inutile, sai? Io so chi sei, Alexander. Io so cosa sei.»
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