venerdì 29 dicembre 2023

Recensione a "Call me Michael: A ferro e fuoco" di Giorgia Fiorella

 


Genere: Dark Romance
Editore: Sperling & Kupfer
Data d'uscita: 31 Ottobre 2023
Pagine: 327
Prezzo: eBook 9,99 - cartaceo 13,30

 
 
 
 

 
Grace ha nove anni, è minuta, albina. Non ha nessuno. La vittima perfetta per i bulli dell'orfanotrofio Benetton, che non si fanno scrupoli a vessarla e provocarla in modo che le sue reazioni finiscano immancabilmente per farla punire. Eppure è proprio lì, nella stanza buia e ammuffita in cui la rinchiude la direttrice, che Grace incontra Michael. Lui è un ragazzino un po' più grande di lei, bello come un angelo, ma invisibile al mondo. Dicono che sia pericoloso, ma per Grace diventa l'unico amico, l'unico porto sicuro in un oceano ostile. Fino a una notte terribile, in cui tutto si capovolge e Michael viene portato via in manette.
Passano gli anni, Grace sta per compierne diciotto e da sette non sa più nulla di Michael, che è finito in un istituto psichiatrico. Ma quando lui fugge da lì, proprio alla vigilia del compleanno di Grace, lei ne è terrorizzata, ora sa di cosa è capace Michael, e non vuole morire. Lei è la sua Bambolina, e lui ha promesso di tornare. Può l'amore tenere insieme i pezzi di due anime frantumate dal dolore, due anime nel mondo sbagliato, stelle fredde di una galassia inesplorata?
 
 
 
 
 
 
 

Io e Michael ci eravamo incontrati per un fortuito caso del destino, un banale errore di distrazione, ma ero stata io a scegliere di tenerlo con me. Sì, sono stata io a sceglierlo. Michael, colui su cui viaggiavano storie raccapriccianti e fantasiose, un povero bambino rinchiuso nella folle solitudine, io l’avevo scelto. Lo avevo fatto nello stesso momento in cui avevo compreso che era stato l’unico a condividere un biscotto con me.

 

La prima cosa è aver scelto questo libro pensando che avesse a che fare, in qualche modo, con quel potente Arcangelo di nome Michael. La seconda è ritrovarsi tra le mani una storia che non appartiene a un genere ben chiaro. La terza è tornare al primo punto, pensando che in effetti Dio in qualche modo c’entra e pure il fatto che Michael sia il più forte, il più potente, nonché generale delle schiere celesti sempre raffigurato con una lama. La quarta, e la più importante, è la consapevolezza che manchi un’avvertenza fondamentale, il trigger warning per eccellenza come siamo soliti chiamarli adesso. Questa lettura non è consigliabile a chi non abbia intenzione di spezzarsi il cuore.

Poi ce n’è anche una quinta, se vogliamo essere del tutto onesti, e dopo quella si inanella una serie infinita di parole che cercano lo spazio per accomodarsi e trasmettere un significato nel modo giusto, ma come fai se l’unica cosa che senti, davvero, è un ammasso di dolore che preme contro la cassa toracica e ti toglie il respiro? Ci sono i fatti e ci sono i preamboli. Poi c’è la vita, immensa, di cui queste pagine sono imbevute e che da queste vuole uscire, anche solo per una settimana, per riprendersi duemilacinquecentosette giorni che sono volati, nell’oblio di un’anima sola, ma con un centro gravitazionale ben preciso, staccato dal corpo, a un millimetro dal cuore. Grace ha nove anni e poi dieci e poi undici. Orfana, albina, principessa triste e forte, presa di mira dalla cattiveria di un perfido trio di compagni, Margo, Killian e Jonah, dopo la morte dei genitori viene accolta in un orfanotrofio di Monterey. Qui, per puro caso, conosce un bambino di qualche anno più grande che vive in perenne solitudine in un non luogo dove nessuno entra mai, uno scantinato dimenticato dove non è prigioniero se non per volontà propria. Michael Baker aveva dieci anni quando, presumibilmente, ha ucciso i genitori con trentasette coltellate ciascuno. 

 

 «Loro erano l’arma, non il proiettile.»

 

Ma tutto questo lo sapremo dopo, scivolando nel dolore di una vita strappata, in un’oscurità dove le voci si rincorrono, agganciate a una psicosi che non avrebbe dovuto togliere il diritto alle lacrime e ai sorrisi. È il tempo di Michael a essere scandito come un orologio implacabile e rotto, così come spezzate sono le parole che rivolge a Grace quando, sette anni dopo averla vista per l’ultima volta, la rapisce e la rinchiude con sé in uno spazio nuovo dove nessuno può entrare.

 

«Mi dispiace averci rotti. Posso sopportare di non avere più un’anima, ma non di aver ferito la tua.»  

 

 Ci sono libri di cui è difficile parlare e praticamente impossibile scrivere e questo rientra, senza appello, nella categoria. La sinossi la trovate qui sopra, quindi non c’è bisogno che riassuma la storia, ma tant’è che mi sento generosa e mi lancio in uno dei miei famosi riassunti in poche righe. Grace e Michael si conoscono da bambini e instaurano un’amicizia profonda; lui probabilmente è un assassino, a un  certo punto succede qualcosa, viene rinchiuso in un istituto psichiatrico. Dopo sette anni, durante un trasferimento, riesce a scappare e cerca Grace, finendo per rapirla. Detta così, in poche parole, il lettore si fa un’idea di quello che ha tra le mani. L’immaginazione corre, ed eccovi servito il romanzo con sfumature dark che possiamo aspettarci, magari condito da un sacco di violenza e forse con un finale tragico o forse no. D’altronde siamo abituati a rapimenti, Sindrome di Stoccolma come se piovesse e vicinanza forzata. Se poi ci infiliamo pure qualche stupro e un sacco di botte abbiamo il pacchetto benservito e confezionato. Poi succede qualcosa. Succede che un libro che avrebbe dovuto essere in un certo modo, perché in quel modo noi ce lo siamo stupidamente immaginato, finisce per essere altro, sparato per direttissima nella lista degli indimenticabili. Perché qui non c’è un finale tragico, no, qui la tragedia gronda da ogni singola parola, poesia che si incastra tra una costola e l’altra, mentre ci rannicchiamo ad accarezzare piaghe nella pelle che fanno male e per cui le creme non bastano più. E rifuggiamo il sole per trovare conforto nell’ombra che non brucia, ma lenisce, scappiamo dalle voci, dalla confusione, troviamo la pace davanti a una scacchiera. Non ci importa nemmeno di sacrificare la Regina, perché dobbiamo proteggere il Re, quando tutti gli alfieri e le torri del mondo non bastano perché il mondo ha deciso che l’orrore esiste ed è racchiuso nelle mani di un bambino che non parla. E di un adulto che non sa come riprendere le fila che gli sono state strappate, il cuore che gli è stato tolto quando lo hanno portato via dalla sua Bambolina. 

 

Inclina la testa, in quel suo modo inquietante, e di riflesso lo imito. Mi sta studiando come se fossi la pedina di una scacchiera. Nella sua testa complessa la partita deve essere cominciata ancora prima di evadere, ne sono certa, e lui è lì ad attendere che faccia la mia mossa.

 

Con maestria esperta, il romanzo si snoda su livelli temporali diversi. Nel presente, Claire ha quasi diciotto anni e viene rapita da Michael che la preleva da scuola. Nel passato, i capitoli si snodano indicando le età dei protagonisti come promemoria, scanditi dalle punizioni che la piccola si fa assegnare sempre più spesso per poter trascorrere del tempo con lui. Quando i protagonisti sono i bambini, con la voce onnisciente di Claire a narrare che ogni tanto scivola in un commento doloroso, i loro universi si scontrano e finiscono per incastrarsi con dolcezza. La musica, i libri, gli scacchi, una liquirizia spezzata e condivisa, tutto raccoglie e compone un mondo al di fuori dalle dinamiche di quello reale, almeno fino a quando Claire non assapora la libertà dalle angherie dei compagni e stringe nuove amicizie a scuola. Non posso parlare di Elisa, quella che diventerà la sua migliore amica, perché il suo ruolo è disegnato in modo talmente delicato e puntuale da avermi lasciato col cuore in gola e un pugno nello stomaco, anche se sono felice di non saperla sola. Fino a quando Claire non esce dalla gabbia dell’istituto Michael resta l’unico punto di riferimento, scelto in modo consapevole. Davanti a un muffin, in un compleanno creato insieme, la luce di una candela è un piccolo faro nell’oscurità, dove i desideri possono essere espressi a prescindere, perché quando non si ha nulla da perdere non si può non correre il rischio di poter vedere un sogno trasformato in realtà.

 

Spegnemmo la fiamma insieme, i nostri respiri si mescolarono diventando un tutt’uno come erano destinati a essere, come dovevano essere, perché noi due eravamo fatti della stessa sostanza, di pezzi rotti e sogni infranti, ma con desideri ancora tutti da esprimere.

 

Ci sono cuori e c’è la pelle, quella sfregiata dalle piaghe e quella rotta dagli uomini; come indossi le cicatrici fa la differenza, soprattutto se decidono di uscire nel mondo per riappropriarsi di un  barlume di felicità. Claire non chiede, perché sa cosa significhi rievocare il passato, quando ha visto Michael perdersi nel proprio orrore, trasformato in un cumulo di rabbia e assenza, denti serrati e occhi vuoti. Non piange mai Michael, lo farà solo una volta quando la neve rischia di essere spazzata via dal troppo rosso, quando la sua rosa amaranto perde i petali tra le sue mani sbagliate. Eppure ogni silenzio, ogni sguardo smarrito e poi consapevole, ogni scelta precisa e accuratamente chirurgica compiuta allo scopo di proteggere la Bambolina, ogni singolo aspetto di lui gronda lacrime. Tutte quelle che non riesce a sentire, e scopriremo il perché dalle sue vive parole, le proviamo e le versiamo noi, insieme a Claire che ha sempre sospettato, ma mai avuto certezze. Lo sapete che le lacrime si sentono dentro vero? Esploderanno silenziose quando ascolterete di un oblio privo di pace in cui sprofondava da bambino, perché la pace è impossibile per chi l’inferno lo alimenta su un torace sconfitto e non ha conosciuto nemmeno la parvenza di un sospiro di normalità. Camminando sul filo del rasoio, e su un vuoto sempre pronto ad accoglierlo, Michael è la quintessenza della rabbia fagocitata dal nulla, non in grado di valutare il giusto o lo sbagliato secondo alcun metodo imposto da una qualsivoglia società. 

 

Dimenticavo troppo spesso che Michael non era un ragazzo normale, non agiva seguendo la logica comune. Per lui, vita o morte non contavano. Se nutriva una sottospecie di sentimento, allora quello era tutto nei miei confronti. Per il resto il nulla più assoluto. 

Non avere paura di me. Non tu.

Non io. Perché si trattava di me, ma gli altri non contavano, gli altri non rientravano in questo privilegio.

 

Se un libro è fatto di lividi e sangue, allora l’unica cosa che puoi fare è accettare la scheggia di vetro e continuare a tagliarti. Perché non rappresenta una soluzione, ma un modo come un altro per sentire qualcosa sì. E non importa se gli altri non capiscono, perché non hanno alcuna importanza. Quando il mondo ha sovvertito le proprie regole e chi doveva essere protetto è stato gettato in pasto alle belve, allora non c’è più nulla che debba seguire una logica necessaria, perché non ha più bisogno di riprendersi uno spazio che è stato strappato via. E come un ciondolo d’argento che non avrebbe dovuto essere nemmeno concepito, ecco che un marchio si appallottola sul cuore e intorno al collo, come un collare che vuole essere marchio e protezione, possesso e libertà al tempo stesso, perché l’unica cosa che tiene in vita Michael è sapere che Claire starà bene. Prima o poi dovrà stare bene. E quella neve e quel freddo e quel pavimento hanno tutto un altro significato adesso, quando le mani si toccano e trovano quello che hanno sempre riconosciuto come parte della propria pelle, come se un uragano a un certo punto avesse solo deciso di fermarsi, immobile, in attesa di riprendere con maggiore violenza a spazzare via tutto. Ed è un libro che ha bisogno di essere scritto e ha già un titolo in effetti, perché Grace sa che può scriverla quella storia, solo e unicamente per lui, la pulsazione fuori corda del mio battito. La nota stonata di un’orchestra sul fallimento. Il contrasto della vita. Eppure genuinamente prezioso e oltre ogni frivolezza. 

 

 E sono proprio due ritmi diversi, due battiti incostanti che s’incontrano a fare la differenza, disegnando su un pentagramma gli accordi di un amore fuori dal tempo perché infinito, senza principio né via d’uscita. È la storia di due anime che si sono conosciute, o forse riconosciute, che abitano due vite e due corpi inadatti, feriti, malati e contratti in un bozzolo che soltanto insieme acquista calore. Sono i respiri e i sorrisi rubati in un mondo che non ha nulla da offrire se non orrore e un conto alla rovescia impietoso e durissimo, sacrificabile su un altare che non deve mai più esistere nella vita di nessuno. Pena il giudizio insindacabile di un coltello che cade nella notte, se continuassi a scrivere toglierei solo poesia a una storia che non ha, in nessun modo, bisogno di essere raccontata. Non avrei nemmeno dovuto scrivere di questo libro, perché forse le parole tolgono l’amore al cerchio di luce che hai negli occhi quando guardi la persona senza cui non riesci nemmeno a respirare. Non avrei dovuto sottolineare o mettere inutili post-it colorati, perché non vi è una pagina che non meriti di essere letta e riletta, per assorbirne ogni sfumatura, insieme all’odore dell’umidità che ti penetra nelle ossa e al profumo che ha la rabbia quando scorre nelle vene e non trova il sangue. Come un assetato ti ritrovi a berne il ritmo e l’essenza, intrecciando i capelli in modo scaramantico, mentre immagini quelle mani così rosse essere delicate con lei, solo con lei. Sono le mani di un assassino e di un angelo bellissimo e distorto, che porta l’unica colpa di una croce piantata nel petto invece che da portare. Se non volete, non leggetelo. Io non sto qui a obbligare nessuno. Ma se una volta, anche una sola nella vita, avete provato quel senso di ineluttabilità solo nello sguardo di un’altra persona, avete pensato che tutto il mondo pesasse meno solo stringendo quella mano, avete sentito che nonostante tutto forse qualcosa potesse essere salvato ecco, se questo vi è successo, allora leggetelo. Non sarà una lettura facile, l’ho detto fin dall’inizio, ma nemmeno per un attimo spero vi ergerete a giudici senza appello. Se lo farete, voi avrete perso, mentre il libro rimarrà lì, come Michael, in attesa come solo i libri, nella loro immutabile presenza, sanno fare. Vi schernirà, ma poi vi ammansirà di nuovo, in un gioco bipolare al massacro dove alla fine non vi saranno né vinti né vincitori. O forse sì, qualcuno vincerà. Sarà Michael, che forse sorriderà mentre si aspetta che facciate qualche mossa sbagliata, mentre la sua Bambolina lo tiene per mano e osserva con fare attento ogni suo singolo movimento. Come una Regina algida e sicura, forte nonostante tutto, che racconta quella storia che non è mai stata raccontata prima, con un finale che apre a farfalle di speranza, a petali che possono adesso, forse, riscriversi in nuove rose senza temere che il mondo le calpesti con atroci spine. 

 

Se mi chiedessero cos’è la felicità, non farei mai il suo nome. Per me è doloroso, un costante pugno nello stomaco, la tossina radioattiva che ci depreda, ma in qualche modo ne vale la pena. Perché, come tanti anni prima, non oso immaginare un’esistenza dove non amo Michael, dove respiro senza Michael.

 
 


 
 
 
 
 
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