Mikira Rusel non ha scelta. Con il padre in prigione e il loro rinomato allevamento di cavalli incantati sommerso dai debiti, la ragazza ha un solo modo per riscattare il nome della famiglia: prendere parte al torneo di Illinir, una brutale corsa a cavallo in cui tutto è concesso, una competizione in quattro tappe, insidiosa e pericolosissima, che ricoprirà il vincitore di denaro e prestigio.
Ma Mikira non è l'unica ad aver messo gli occhi sul premio e come lei anche gli altri abitanti della corrotta Veradell sono disposti a spingersi oltre qualunque limite. Per avere più possibilità di arrivare fino in fondo, Mikira si troverà a forgiare un'alleanza con Arielle, una giovane incantatrice perseguitata dai demoni del suo passato, Damien, l'erede di una potente e vendicativa casata in lotta, e Reid, un burbero e scostante addestratore di cavalli. Ognuno di loro avrà le sue ragioni per aiutarla: chi il cuore, chi la vendetta.
Tra intrighi politici, magie oscure e scommesse clandestine, Mikira sceglierà di farsi guidare dai sentimenti o dall'interesse?
Suo padre era convinto che la salvezza della fattoria dipendesse dal ricorso a incantesimi innovativi, dall’utilizzo del veriglio per realizzare nuove meraviglie, e non dal semplice allevamento dei pochi incanti che rimanevano nelle loro stalle. Ma ogni notte di ricerca metteva la sua vita sempre più in pericolo. Non avendo la licenza di incantatore, sarebbe bastato un sospetto di magia all’orecchio della persona sbagliata e l’Anthir sarebbe venuto a prenderlo. Il Consiglio dei Lord affermava che il registro degli incantatori servisse a impedire un nuovo Cataclisma, come veniva chiamata la distruzione del regno del Kinahara a opera dei quattro Eretici nel loro perseguimento della magia; ma Mikira sapeva la verità: era solo una questione di profitto e di potere.
Ed è proprio la ricerca del potere e la connaturata predilezione dell’uomo a tentare di mantenerlo ad ogni costo il filo conduttore di tutta l’opera, amici Magnetici, in un romanzo fantasy dove la fanno da padrone antiche risonanze della cultura ebraica e la fame di dominio che ottenebra le menti. Le protagoniste ci aprono i loro mondi agli antipodi attraverso il punto di vista alternato; Mikira è un’abile cavallerizza, costretta a sostenere sulle giovani spalle il peso di mantenere e proteggere le due sorelle quando il padre viene imprigionato dalla famiglia Kelbra, una delle casate nobili vicine alla corte reale. Il suo massimo esponente, Rezek, è uno dei favoriti del principe oltre che il vero antagonista di questo primo capitolo. Se Mikira è una giovane non ancora sbocciata il cui unico interesse è salvare la fattoria di famiglia e tutto ciò che contiene, Arielle è una Kinnish dotata di poteri straordinari, ma priva della licenza per usarli, dunque costretta a nascondersi e a svendere le proprie arti per guadagnarsi da vivere. Di lei sappiamo che soffre di atroci emicranie e che cerca di passare per quanto possibile inosservata, perché è terribile il segreto che nasconde e per il quale si è auto inflitta la punizione di abbandonare la propria famiglia. Non voglio svelarvi nulla di più, ma le sue caratteristiche la rendono ben presto un’arma formidabile e senza prezzo, oltre che il personaggio con il percorso più incisivo dell’intera opera.
Nel gioco crudele che le quattro case maggiori e le otto case minori intrattengono allo scopo di prevaricare l’una sull’altra, entrambe le ragazze entrano in campo per motivi del tutto diversi, ma legate da un comune denominatore, quel Damien Adair che, insieme all’amico Reid, offre loro una possibilità di riscatto. Ma se la gentilezza austera di Damien e la gelida cortesia di Reid sono un toccasana in un mondo dominato da feroce violenza, non è possibile dimenticare che qualsiasi legame con i nobili possa infine rivelarsi pericoloso perché anche se erano le quattro grandi famiglie a comporre, insieme al re, il Consiglio dei Lord, responsabile di tutti i decreti che schiacciavano la gente come loro, dalla leva obbligatoria all’aumento delle tasse sulle terre, erano le case minori a metterli in esecuzione.
Eppure un patto viene stretto, perché entrambe anelano a riappropriarsi di quello che hanno perso, mentre il resto del mondo trema innanzi alla guerra imperitura tra l’Elderlain e il Celair, dove anche il fratello di Mikira è stato mandato a morire. Ricattata da Rezek, Mikira ha un solo modo per salvare la fattoria e liberare il padre; stringere con lui un patto con cui s’impegna a vincere il torneo dell’Illinir, dove prove di abilità si mescolano a incantesimi che attentano alla vita dei cavalieri, senza alcun controllo sulle armi che questi ultimi possono utilizzare impunemente per raggiungere il podio. È una gara all’ultimo sangue che la giovane sa di non poter vincere senza un cavallo incantato, veto che Rezek ha stabilito in modo inequivocabile, mettendola nelle condizioni di non classificarsi nemmeno alla prima batteria. Eppure enormi saranno le risorse messe in campo, in primis da Damien, che accetta di farle da sponsor per ottenere un vantaggio sui Kelbra e al tempo stesso salire nella scala di preferenza per ereditare dal padre il casato di Adair. E proprio per permettere a Mikira di partecipare, entra in gioco Arielle; i clienti la cercavano per un motivo: i suoi animali non avevano le tipiche macchioline dorate che identificavano gli incanti.
E dunque, grazie al suo lavoro, è possibile creare un cavallo con cui gareggiare senza che Rezek ne sospetti l’origine; il potere di Arielle, di cui lei stessa è largamente all’oscuro, è enorme anche se acerbo. La giovane non incanta, ma infonde vita nell’argilla creando golem, utilizzando un antico libro che è il suo unico tesoro, oltre al ricordo di un passato che non può più tornare.
La maggior parte del suo libro di incantesimi era in Kinnish antico, e la maggior parte di coloro che parlavano quell’antica lingua erano stati dispersi quando il Kinahara era stato travolto dalla magia degli Eretici, durante il Cataclisma di oltre un secolo prima. Lei era riuscita a leggere solo le prime pagine, che aveva tradotto il suo Saba, ed erano appena sufficienti a ricostruire gli incantesimi di base.
Ed è proprio così che prende vita Atara, il magnifico esemplare con cui Mikira dovrà affrontare i pericoli della gara, arma spietata con cui poter sperare di giungere alla vittoria, oltre che sopravvivere.
Ora potrei dilungarmi molto sulla storia, che ovviamente è incentrata sul torneo e sui rapporti che si sviluppano tra i quattro protagonisti; ognuno di loro, con le proprie peculiarità, contribuisce a costruire la complessa impalcatura dell’opera che ha un andamento circolare come il percorso di gara. Nonostante i colpi di scena e la crudezza di alcune prove, purtroppo il ritmo non è stato sufficientemente efficace per coinvolgermi del tutto, con richiami nemmeno troppo velati ad Hunger Games; d’altro canto, non si può negare che alle due protagoniste non venga risparmiato nulla in termini di violenza, ed entrambe si trovano a sperimentare vari livelli di doppiogioco. Voglio pensare, poiché il romanzo non è autoconclusivo, che si tratti di materiale preparatorio per il successivo il quale, vista la chiusura ad effetto, potrebbe rivelarsi più incisivo e arricchito da alcuni personaggi intravisti che promettono bene, ammesso che l’autrice decida di dar loro la voce che meritano. Non voglio pensiate che io non abbia apprezzato la lettura perché, anche se a tratti faticosa, ci sono alcuni aspetti degni di nota. Quello a mio avviso più importante riguarda la costruzione della storia di Verandell e di tutto l’Elderlain, con la spiegazione dettagliata delle gerarchie e del ruolo degli Araldi e degli Eretici. Il Cataclisma punitivo che ha devastato il mondo quando alcuni incantatori hanno cercato di elevarsi a divinità non può non risultarci familiare, ma apprezziamo il lavoro di precisione e la capacità di creare un world building significativo. Il senso di inadeguatezza che permea la vita delle giovani protagoniste è interconnesso con la storia dei loro popoli, più di quanto loro stesse possano immaginare. Ari, in particolare, è Kinnish e dunque, nonostante da oltre un secolo la sua gente sia stata integrata nel regno, ancora considerata una reietta. I parallelismi con la cultura ebraica permeano tutto il romanzo, come sottolineato anche dall’autrice nei ringraziamenti finali, e la persecuzione messa in atto dall’Enderlain nei confronti del non conosciuto è un dramma storico fin troppo attuale. Sono le parole del nonno di Ari a donare uno sprazzo di luce al buio che la giovane sente crescere dentro di sé;
I mostri di rado hanno l’aspetto di mostri. La prima volta che il suo Saba l’aveva detto, lei gli aveva chiesto se era il motivo per cui i vicini Kinnish dalla faccia gentile li guardavano sempre in modo così strano. «Non gli piacciamo perché siamo mostri?» aveva chiesto. «No, Ari» aveva risposto il nonno con il suo solito tono paziente. «Non ci comprendono, per cui ci temono, ed è la paura che genera i mostri.»
Altro punto a favore del libro sono dunque questi spezzoni lucidi di improvvisa poesia, che giungono dalle parti più disparate e inattese. Se Ari trova in Damien un cultore del sapere e un attento osservatore del mondo, che la calma con la sua sola presenza, per Mikira la chiave di volta è Reid, personaggio cupo e ossessionato dall’ordine e dalla pulizia, con un passato di violenze e cresciuto in un obitorio. Eppure, nonostante sia il primo a non amare assolutamente il coinvolgimento con altre persone, è lui l’addestratore designato, che con pazienza trascorre ore ad allenarla e ad insegnarle i trucchi che possano permetterle se non di vincere almeno di rimanere in gara il più a lungo possibile. Lapidario nelle esternazioni, «Mi piacciono gli animali. Sono le persone che non sopporto.», le offre una verità insindacabile che sarà come un faro nel buio degli incanti del torneo, oltre che lezione di vita da cui trarre speranza nei momenti di sconforto; «Tieniti stretto tutto quello che gli altri possono usare contro di te. Fanne uno scudo, affinché loro non possano farne un’arma.». Nonostante tutti loro, compresi alcuni dei personaggi secondari, abbiano un intero universo di segreti e straordinarie capacità da svelare, è stato proprio Reid, per me, il catalizzatore di attenzione. È umano, ma eccezionale, misantropo, ma empatico, sensibile, ma severo di fronte a colpe che reputa imperdonabili in base al suo ferreo metro di giudizio; è un coacervo di sicurezze e fragilità, affilato come una lama mortale pur essendo incapace di abbandonare qualcuno nel momento del bisogno. Sue sono le parole più belle del libro, quando sprona Mikira a scegliere di indossare il proprio dolore per farne un’arma, prima che gli altri possano usarla contro di lei.
«Devi imparare a vivere con il dolore, o ti distruggerà.» Reid portò Eilora accanto a Iri. «Perché nell’istante in cui permetterai a loro di usarlo per farti sentire inadeguata, avrai perso.» La guardò e il suo sorrisetto assunse un che di predatorio sotto la luce della luna. «E ho la sensazione che a te non piaccia molto perdere.».
Dunque che dirvi di più, amici Magnetici? Ho amato i personaggi e la complessità delle loro storie, apprezzando i buoni e i cattivi e soprattutto il fatto che il confine tra le due tipologie spesso si offuschi e lasci ampio margine all’interpretazione. Come ho detto la narrazione è un po’ lenta, anche se i momenti adrenalinici non mancano, e questo m’impedisce di dare un voto, come sempre soggettivo, più alto. Sicuramente leggerò il seguito, perché il colpo di scena finale lo merita e sono davvero curiosa di sapere cosa riserverà il futuro soprattutto ad alcuni personaggi, Rezak e Ari in primis, certa che molti interrogativi troveranno finalmente risposta e i nostri quattro, oltre a questa, anche un po’ di pace.
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