Enzo Mazzarelli si divide tra la gastronomia dei suoi genitori e il ruolo di padre single. Alle porte dei quarant’anni ha tanti rimpianti quanti sono i tatuaggi che sfoggia. Non cerca l’amore, eppure rimane vittima del fascino di Lavinia, che invece sembra restia ai sentimentalismi.
Nasce così la ricetta per un disastro familiare (e romantico) annunciato, tra divari sociali, figli prossimi alla maggiore età, padri mancati, uccellini da catalogare, segreti, errori e sogni rimasti tali. Ma Garbatella, da che è stata fondata, è capace di magie uniche e tra i suoi vicoli, cortili e panni stesi, innamorarsi e sperare in qualcosa di bello per il futuro diventa semplice come pronunciare un daje!
Lei aveva vissuto la favola, lei era la scema da non disturbare mentre saltellava nel sogno. Tutti a proteggerla, tutti a tenerla in una bolla mentre prendevano ansiolitici, facevano gli adulti e si rapportavano come tali. Tutti pieni di segretucci, mentre lei non aveva mai fatto niente, se non seguire i consigli e l’agenda della brava ragazza. Mai nessuna pazzia o decisione autonoma, mai nessuna pilloletta da tenere nascosta.
Cosa accade, amici Magnetici, se a quasi quarant’anni una vita impostata secondo binari prestabiliti e rassicuranti all’improvviso s’incrina? Lo scossone lo dà un medico, quando con un responso inappellabile sigla quello che Lavinia, coniugata Redighieri e principessa di Roma Nord, da tempo tace e nasconde sotto confortevoli coperte. Suo figlio Giordano, otto anni, non ha i geni del marito Claudio che adesso, costretto a visite su visite per mettere in cantiere un ipotetico secondogenito, si scopre inevitabilmente sterile. Lo scossone di cui sopra, pari a un terremoto di magnitudo non quantificabile, porta con sé frane emozionali e macerie relazionali; le famiglie sono sconvolte innanzi alla separazione inspiegabile tra i due, amici da una vita, poi fidanzati e infine sposati, che non danno spiegazioni, ma vanno alla deriva come continenti inespressi. In tutto questo, il barlume della memoria è sull’attenti e pronto a presentare il conto. Una notte di follia in un bar, a ridosso di una crisi prematrimoniale di Claudio, ha visto Lavinia tra le braccia di un altro; lo sfogo di minuti si trasforma in un onere eterno, perché Giordano arriva dopo nove mesi per reclamare il proprio posto nel mondo, ingenuo frutto di un attimo di sbandamento e riprova di una frattura invisibile che con gli anni è diventata grande quanto la faglia di Sant’Andrea. Mi soffermo un attimo su questo, perché poi ci sarà chi prenderà tutta la scena e sarà impossibile distaccarsene; credo sia importante il preambolo, perché è una delle tante caratteristiche che accomuna molti rapporti, basati sull’affetto, la comprensione e magari la voglia scomoda di compiacere chi ti circonda. Lavinia ha compiuto delle scelte, e con lei Claudio, che l’hanno portata a condurre un’esistenza media, pari a quella vissuta da due nibbi reali tanto per citare uno splendido Anthony Hopkins, dove entrambi viaggiano come rette parallele abituate l’una all’altra senza più vedersi davvero. Il luccichio dell’avvenenza fisica, dei soldi e delle carriere all’apparenza perfette, lei proprietaria di un salone di bellezza e lui vicedirettore di banca, stona con la quotidiana superficialità di un rapporto che si snoda nella sua calma placida, in un appartamento che manca di calore, ma rispecchia il loro status, in un continuo rassicurarsi sul fatto che vada bene esattamente così.
Lavinia in un certo senso rifulge, grazie al fatto che corso di laurea, relazioni sociali, amicizie e futuro lavoro non erano stati scelti, bensì pianificati a tavolino. Una Lavinia costruita come i tanti palazzi moderni che innalzava il padre: ossia bella, esclusiva e per pochi. La sua controparte, invece, viveva con l’ossessione del mediano. Sentiva quell’etichetta appiccicata dietro la schiena come un pesce d’aprile, ed era sicuro che tutti ridessero di lui quando era di spalle. Il modo superbo in cui le dinamiche tra loro sono accarezzate pur non lasciando niente al caso, ci mostra ancora una volta come la penna di quest’autrice sia capace di trarre lo straordinario dall’ordinario, trasformando in parole semplici i più grandi drammi dell’essere umano come tale. Lo ha fatto con “A.S.I.P.” e con “Joel & Sue”, mantenendo sempre un ritmo serrato come quello della vita che i protagonisti vorrebbero vivere mentre si soffocano con le convinzioni che ritengono di dover mantenere. Ed è la normalità che qui esplode, che ci sfiora gli occhi per entrarvi dentro, riempiendoci di immagini ed emozioni interconnesse con maestria e passione, umiltà e coraggio. E umile, coraggioso, altruista e protagonista assoluto della storia è Enzo, che arriva da un passato lontano scardinando vite e pagine, anche se non lo fa di proposito e del tutto ignaro delle conseguenze di una notte trascorsa nel ripostiglio di un bar. Con lui si muove un mondo intero, perché Enzo è solo una parte di un tutto che si vuole far amare nonostante sia consapevole dei propri limiti, della propria inadeguatezza davanti al benessere sfacciato e sfoggiato. Enzo è casa sua, il quartiere Garbatella, e casa sua è Enzo, perché lo costruisce, lo protegge e lo fa splendere all’interno dei suoi confini rassicuranti e talvolta un po’ ansiogeni per chi lo ama e gli sta intorno.
Enzo piaceva a tutti, specialmente alle donne. Il suo aspetto richiamava immaginari comuni e romantici dal sapore di ribelle, di uomo da redimere, duro e puro ma cucciolone dentro, di maschio inafferrabile, pessimo partito, esperienza da urlo.
Gastronomo nel locale del padre Gianfranco, specializzato in prodotti tipici dei Castelli Romani, Enzo è padre single di una diciassettenne, Elisa, unico amore della sua vita insieme ad altre due donne speciali. L’ha cresciuta con i genitori e con sua nonna Olivia, circondata dall’affetto dei vicini e della splendida Gelsomina, in una Garbatella che sa di protezione e nella quale se potesse la rinchiuderebbe, dopo che la madre Lory li ha abbandonati per trasferirsi a Lanzarote. Hanno il loro mondo, colorato e profumato di tutte le tipiche golosità romane, anche se la giovane sogna l’Oriente e ha orizzonti ampi da esplorare che lui, per motivi che non posso spiegarvi, non riesce nemmeno a immaginare. Questo equilibrio si sfascia, in modo anche abbastanza singolare, quando Lavinia decide di cercare il padre di Giordano finendo per incontrare, appunto, Enzo. Se quest’ultimo prende le pagine e se ne impossessa con la sua delicatezza da bisonte e il romanesco che pervade tutto il volume, Lavinia è travolta da emozioni contrastanti. Il silenzio e la mancata capacità di prendere decisioni, perché per tutta la vita ha lasciato che altri le prendessero per lei, mettono in moto una schermaglia divertente, sensibile e appassionante, descritta così bene che verrebbe voglia di infilarsi in quelle pagine per dare uno scossone a lui o uno schiaffo a lei a seconda del momento. Il conoscersi, e non il riconoscersi, attraversa stadi veloci e poetici, scontrandosi con una realtà diversa per loro che vogliono trovare un modo di frequentarsi a dispetto di famiglie, ex mariti, un figlio che non si sa cosa pensi, ma che si affeziona subito a quell’uomo così limpido, amici e vicini di casa, gatti compresi. Le intenzioni di partenza ci sono, e sono anche buone tutto sommato.
«Voglio solo chiudere un cerchio orribile, che ho aperto anni fa, in un momento di deficienza. Se non lo faccio, non potrò andare avanti. Non posso rimanere così.» «Così come?» «Piena di cose incompiute, di rimorsi e mancanze.» «Non ti seguo.» «Io... non voglio che lo cerchi Giordano, da grande. Non voglio lasciargli questo peso, e non voglio che sappia la verità in malo modo. Controllare com’è questo Enzo è la cosa migliore che posso fare per mio figlio, al momento.»
Peccato non aver messo in conto il fatto che quando due pianeti opposti si scontrano non ci siano mezze misure sul risultato, ma una specie di Big Bang che si porta dietro galassie intere e buchi neri. Lavinia si fa amare, a modo suo, ed è la quintessenza della fragilità intesa come passiva accettazione del non saper decidere. Mi ha innervosito, tanto, e quando i personaggi ti fanno provare sensazioni forti significa che hanno svolto il loro compito; hanno emozionato, nel bene o nel male, e quindi fanno parte della tua vita e li hai davanti agli occhi come fossero reali. Lavinia è come un fiore che aspetta di sbocciare, perché non lo ha mai fatto e dunque non ha mai vissuto. Con Enzo è più facile. È un crimine chiamarlo personaggio perché è impossibile, per me, pensare che lo sia. Da qualche parte,a passeggiare vicino al Lotto 54 o a sfrecciare su una moto verde acido, deve esserci per forza questo gigante rumoroso e bellissimo, che vive la propria vita con l’unico scopo di rendere felici gli altri, protettivo nei confronti di chi ama, che sa piangere e non riesce a non farti ridere. Insomma, per farla breve, è impossibile che non esista sul serio, perché ci sono molti modi per creare con mano d’artista un uomo, ma credo che qui Laura abbia pescato da una sensibilità ancora maggiore per renderci qualcosa di perfetto. Quando le parole scivolano come pezzi precisi di un puzzle che s’incastrano al loro posto, in un magistrale esempio di scrittura sia nello stile sia nel contenuto, allora noi lettori dobbiamo solo chinare la testa e dire “Grazie”. Grazie per averceli dati. Per averci dato Gianfranco e Alessandra, donna pratica e razionale, dispensatrice di rimesse in riga a suon di zoccoli volanti, genitori amorevoli e un po’ ficcanaso, consapevoli che quel figlio sia un tesoro inestimabile anche se con un passato difficile e doloroso. Grazie per averci dato Giordano, piccolo uomo, nerd e appassionato di ornitologia, chiuso come un riccio in un bozzolo lucido e ordinato, pronto a spiccare il salto e mostrare ali bellissime se solo qualcuno lo vedesse davvero. Grazie per Elisa, creatura eterea eppure pratica, fata adulta e consapevole, che sfiora le sue passioni con mani carezzevoli su cui Giordano potrà sempre contare. Grazie per Claudio, uno dei più bei personaggi che abbia mai conosciuto, per la sua sincera difficoltà davanti a qualcosa che lo ha privato di un centro, per la sua dolorosa esperienza, per la saggezza da velista pronto a imbarcarsi verso lidi che non ha mai trovato il coraggio di affrontare perché parevano troppo lontani anche solo per prenderli in considerazione. Grazie per la dicotomia tra i protagonisti, laddove Enzo era fatto di voglio limpidi e dichiarati, mentre quelli di lei erano travestiti da doveri. Grazie per la filosofia con cui, attraverso un parallelismo ingenuo, ma preciso, sappiamo cosa significhi crescere, all’interno di un contesto immutabile che ci vede protagonisti lanciati come schegge verso un futuro imprevedibile e più grande di noi;
«Seguime: er Tegolino. To’o ricordi er Tegolino, da bambina?» «Mulino Bianco?» «Eh, lui. Era bono, grosso, ‘na poesia. Se lo pigli mò, è ‘n quadratino triste co’ du fili de cioccolato rotti. Fino a qua ce sei?» Lavinia fece un mezzo sì con la testa. «Ma nun è er Tegolino che s’è rimpicciolito, lui è sempre ‘o stesso. Semo noi quelli cambiati in peggio. Guardamo sempre i difetti, le cose in meno, e nun apprezzamo quello che c’avemo.» L’ascoltatrice rifletté un attimo, poi guardò Enzo. Aveva l’aria di uno che aveva appena svelato l’arcano di una teoria complicatissima.
Ed è questo che serve a chi ha sempre avuto tutto senza chiedere; è necessario guardare e vedere con gli occhi del cuore, oltre l’apparenza, per toccare con mano la realtà umana nelle sue imprecisioni sfumate e le imperfezioni. Enzo racchiude in sé tutta la conoscenza, e sono sicura che avrebbe molto da ridire su questo, e ha gli strumenti e la pazienza per mostrare a una donna quello che giace al di là di un mero confine geografico. Ed è la Garbatella, con i suoi profumi e il suo caos ordinato, con i vicoli nascosti e le piazze distanti dallo splendore capitolino ufficiale, a rapire anima e cuore di chi vi entra e si lascia conquistare. Sono le mani fredde di Gelsomina, che vede e sente tutto mentre il gatto Arturo se ne sta sul davanzale, ad accarezzare la testa di un uomo buono e indeciso, il cui mondo è sull’orlo del baratro e che mette sempre prima il benessere degli altri rispetto al proprio.
«Sai, io so’ un po’ come Garbatella, che ha imparato a rende bello quello che c’aveva, a mijorallo e voleje bene. Pure er brutto, i cortili a pezzi, lo sta’ lontano dar centro, i bagni comuni. Forse è pe’ questo che sto posto me piace così tanto. C’ha dignità, e nun s’è scordato der passato, der dolore, anzi c’ha fatto pace, ce convive e lo mostra co’ orgoglio.»
Cosa altro posso dirvi, amici Magnetici? Sono seicentocinquanta pagine di poesia che volano in un attimo e che avrei voluto non finissero mai. Perché voglio sentire ancora la risata di Enzo, i mormorii di Lavinia e i rimbrotti di Alessandra e Olivia. Le voglio ancora le incertezze di Claudio, la sapiente curiosità di Giordano e la delicatezza di Elisa. Tutti quanti, nessuno escluso, ti entrano nel cuore e ti invitano a una grande festa illuminata da lanterne decorate con fiori di ciliegio e dove l’aria è satura del profumo della porchetta; tu li osservi in disparte, con una birra in mano, e ti chiedi se forse il significato vero della vita alla fine non sia proprio lì, all’altezza degli occhi e tra le persone che ami. Poi arrivi all’ultima pagina e hai un sorriso stampato sulle labbra e sul cuore; una voce tonante e dal forte accento romanesco si farà strada tra i pensieri, suggerendo in modo non troppo velato che è nelle cose più semplici che risiede il coraggio per non sabotare la propria felicità, pari allo sforzo che fa la Natura quando decide di non arrendersi e continuare, nonostante tutto, a vivere.
Un fiore non sboccia tutto di colpo, lo schiudersi è lento persino per il gelsomino che si apre ogni sera, sul muro di una vecchia casa di Roma. Ed è impercettibile anche per un sakura, che fiorisce dall’altro lato del mondo.
P.S. (ebbene sì, questa recensione ha un post scriptum). Cara Laura, la mia è una richiesta formale, al pari di una raccomandata, un’istanza del giudice o un appello a tutta pagina su un quotidiano a tiratura nazionale. Quella storia, in n’antro monno e ‘n’antra vita, io la aspetto. E quando ce la darai, perché sono sicura che lo farai, noi la leggeremo come abbiamo letto questa, con gli occhi lucidi e il cuore un po’ più grande di prima. Daje!
Nessun commento:
Posta un commento