sabato 28 ottobre 2023

Recensione a "Devil's Game" di Paola Gianinetto

 


Genere: Sport Romance
Editore: Self publishing
Data d'uscita: 13 Ottobre 2023
Pagine: 365
Prezzo: eBook 2,99 - cartaceo flessibile 12,00
cartaceo rigido 18,00

 
 
 
 

Nella vita, Eva ha due grandi passioni: la danza classica e Adam Medina, detto El Diablo, il gelido e oscuro attaccante della sua squadra del cuore. A ventun anni, vive lontana dalla famiglia, frequenta una prestigiosa accademia di danza e insegna alle bambine per mantenersi, nell’attesa di realizzare il suo sogno: diventare una ballerina professionista.
Coraggiosa e sicura di sé, tiene saldamente in mano le redini della propria vita; fino al giorno in cui, a una festa esclusiva, incontra l’oggetto della sua eterna, inspiegabile ossessione. E il mondo le crolla addosso.
Una tentata violenza.
Disgustose bugie.
Un linciaggio mediatico che le porta via tutto.
E
lui.
Il Diavolo.
Il famoso calciatore che le ha rubato il cuore e che i media dipingono come un pericoloso psicopatico, diventa la sua unica speranza. Ma c’è davvero soltanto oscurità, in Adam Medina? O dietro i suoi occhi neri come una notte senza fine si cela un cuore straziato che ha disimparato a battere?
Determinata a scoprirlo, Eva mette in gioco tutta se stessa.
Perché, nella partita con il diavolo, la posta in palio è la sua anima.
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Perché tu sei la mia rotta. T’ho forgiata in lotta viva.

Dalla mia lotta oscura contro me stesso, fosti.

Hai da me quell’impronta di avidità non sazia.

Da quando io li guardo i tuoi occhi son più tristi.

Andiamo insieme. Spezziamo questa strada insieme.

Sarò la tua rotta. Passa. Lasciami andare.

Desiderami, stremami, versami, sacrificami.

Fai vacillare le cinte dei miei ultimi limiti.

(Pablo Neruda _ Empiti di me…)

 

Silenzio.

C’è un silenzio surreale sugli spalti, in tribuna, persino le telecamere inquadrano quel rettangolo verde in trepidante attesa, con rispetto, spostandosi verso il tunnel solo quando il tempo sta per scadere.

Silenzio. 

E poi un boato. Si sono riaccese le luci dell’Olimpico, amici Magnetici, e ci aspettano emozioni a non finire, che scorrono veloci e violente come i metri aggrediti dai tacchetti, i falli da cartellino rosso, le reti che sembrano un miraggio, i calciatori che per il pubblico sono molto di più: nella squadra, ripongono le loro speranze; attraverso essa, si elevano al di sopra della mediocrità della vita quotidiana, per dare un morso a qualcosa che sa di paradiso.  

 

Abbiamo già conosciuto le punte di diamante della squadra dei miracoli, divinità che dal tetto del mondo hanno conquistato i nostri cuori: Samuel e Edoardo, il Re e il capitano, hanno avuto i riflettori puntati addosso in Love Match e Rolling Stars. Ci hanno fatto sognare in moderne rivisitazioni di Cenerentola, se Cenerentola indossasse una divisa da calciatrice professionista o fosse una laureanda magistrale in Economia, e con le loro imprese hanno segnato punti su punti aprendoci le porte dello stadio e delle loro vite. Ci hanno travolto con i successi, con la volontà inflessibile di superare se stessi e con l’amore per le proprie donne, così lontane e diverse da loro e per questo compagne ideali. E poi, come una macchia scura in un quadro troppo colorato, ci hanno fatto conoscere lui, Adam Medina, ala destra e unico squarcio distorto in una musica imponente. Calca il palcoscenico dei libri precedenti con la fredda indifferenza che lo contraddistingue, con laconici e prolungati silenzi che, nella migliore delle ipotesi, mettono a disagio. Dalla prima pagina in cui è comparso ho desiderato leggere quello che Paola aveva in serbo per lui e le aspettative non sono state disattese, perché il Diavolo si prende un pezzo di te e se lo porta via, fregandosene delle conseguenze, come uno spettro livido che attraversa le porte noncurante del terrore che si lascia alle spalle. 

 

 Adam Medina, detto El Diablo, è uno degli attaccanti dell’Olimpico. Venticinque anni, spagnolo di nascita e italiano d’adozione, capelli corvini, occhi gelidi d’ossidiana e fama di pericoloso psicopatico, ormai da sette anni è anche la mia personale ossessione; dal giorno, cioè, in cui la mia squadra l’ha acquistato appena diciottenne dal vivaio del Morena, per farne una delle sue punte di diamante. Allora avevo solo quattordici anni, ma ricorderò per sempre il momento in cui l’ho visto per la prima volta sullo schermo della TV, durante la conferenza stampa con la quale il presidente e i dirigenti presentavano il nuovo membro dell’Olimpico a giornalisti e tifosi. Più che un colpo di fulmine, era stato un macabro sortilegio, lanciatomi da uno stregone malvagio che, chissà perché, doveva odiarmi a morte.  

 

È Eva a parlare adesso, la tifosa, la ballerina che studia all’Accademia e cerca di mantenersi lontano da una famiglia affettuosa, ma su cui non vuole pesare perché troppo numerosa. È lei che, tra le file degli ultras dell’Olimpico, trattiene il respiro ogni volta che lui scende in campo, magnete o buco nero che assorbe tutto quello che vi è di gioioso intorno, concentrato solo ed esclusivamente sul gioco, appartenente a una galassia talmente lontana da non conoscerne ancora il nome. Cosa accade se dopo anni trascorsi a osservarlo a distanza finalmente si prospetta la possibilità di incontrare la sua personale ossessione? Se a una festa esclusiva, complice un bicchiere drogato, si trova nella condizione di rischiare una violenza? Succede che il cronometro rassicurante che scandisce tranquille serate trascorse accoccolata sul divano di un minuscolo monolocale a divorare serie su Netflix si inceppa, per iniziare a scandire un conto alla rovescia verso il disastro. Perché Adam fa una scelta, altruistica se vogliamo data la sua fama, e decide di salvare quella principessa in pericolo, costruendo un castello di menzogne che possano tenerla al sicuro, ma che iniziano a stringere con maglie di ferro implacabili. I loro scambi, il fatto che per un semplice errore lei rischi di perdere tutto, creano una strana alchimia che trova a mio avviso i momenti migliori intorno al tavolo della colazione quando Adam, di fronte a una fatina di quarantotto chili, ma fatta di acciaio temprato dalla danza, la spinge a mangiare. Poco importa che sia fondamentalmente incapace di comunicare come qualsiasi altro essere umano. Adam la guarda come osserva tutti; Eva è un fastidio temporaneo, un male necessario che va estirpato come si fa con un cucciolo che ha bisogno di imparare a rimettersi in piedi. Quanto di quello che vede è reale, e quanto invece futile illusione che come nebbia oscura gli ottenebra la mente? 

 

«Non sei stato tu a farmi del male, ma me ne farai se resto» sussurra infatti, alla fine. «Ancora di più.» 

«È probabile» annuisco. «Ma cercherò di evitarlo. Te lo prometto.»

 

Adam Medina non ha relazioni e tanto meno amici; all’apparenza sembra non avere nemmeno un passato. Di contro, ha un segretario tuttofare e una squadra, oltre a migliaia di donne che volontariamente decidono di essere lo svago di una sera per un uomo che non ha nulla da dare. È consapevole del limite che si è imposto e sa di non poter abbassare la guardia, mai, col rischio che quelle catene con cui si è auto imprigionato cedano e si scateni la furia che lo divora. È il marchio del soprannome che porta, come il demone che gli incide la schiena la cui punta biforcuta si dirama non a caso verso il cuore, a definirlo per quello che è: un guscio vuoto e indifferente per la maggior parte del tempo, in una condizione ideale di calma apparente con cui impostare il distacco dal resto del mondo. Eppure Eva lo sfida, in un meraviglioso duello in cui non vi sono né vinti né vincitori ma due alleati che trovano il modo di far funzionare una squadra fittizia davanti a chi è pronto a giudicare senza conoscere la verità nascosta dietro a una foto rubata, dove un angelo spezzato rischia di perdere tutto quello per cui fino ad allora ha lavorato. Eva lo guarda e, nonostante i sentimenti che prova per lui da sempre, vede l’uomo oltre la fama, oltre lo sfavillante prezzo che pretende il mondo dorato in cui, pur non volendo, è costretto ad appartenere. 

 

Adam è superbo, in allenamento come in partita: non parla mai con nessuno, non sorride, non commenta gli ordini del mister. È concentrato, meticoloso, potente. Ed è solo. Guardandolo, ho sempre avuto questa impressione, ma ora che lo conosco personalmente è come se potessi vedere l’armatura invisibile che lo avvolge e che lui non permette a nessuno di intaccare. Dalla prima volta che l’ho visto, sette anni fa, Adam Medina ha suscitato in me tutta una serie di emozioni, una più violenta dell’altra; e ora se ne è aggiunta una nuova: il bisogno incontenibile di scendere in campo e abbracciarlo, per farlo sentire un po’ meno solo. Dopo, probabilmente, mi ucciderebbe, ma ne sarebbe comunque valsa la pena.  

 

Nessuno può toccarlosoprattutto nel momento in cui si trova nel suo elemento, che sia una partita o un allenamento. Per questo non la vuole allo stadio, per questo non sa come gestire quell’impellente bisogno di proteggerla in primis da se stesso. Nella grande villa riesce a tenere a bada le dinamiche che Eva scatena, ma il campo è il luogo sacro dove a nessuno è permesso entrare; il pensiero di Trilli che mi guarda allenarmi seduta in tribuna mi suona più intimo di quello di lei che vive in casa mia. Il campo è la mia zona franca, quella in cui smetto di essere il ragazzo problematico o la star con chiare tendenze alla sociopatia e mi limito a fare quello che mi riesce meglio: giocare a calcio. Non sono disposto a condividerla con nessuno, tantomeno con lei.

 

 Eppure ci sono sprazzi di luce accecante che compaiono all’improvviso, come una parola gentile o l’interesse genuino verso la grande passione di Eva, la danza. Sono i momenti da tenere ancorati al cuore, perché a lasciarli andare si rischierebbe di vederli sporcati da chi non può capire un sentimento così, soprattutto da colui che lo alimenta. E se da una parte c’è speranza, e il dolore che questa porta con sé, dall’altra il gelido muro di rabbia e odio che Adam ha costruito è un deterrente per tutti tranne che per lei, che lo guarda come si guarda un capolavoro incomprensibile, e che nel farlo cerca di non perdere se stessa.

 

Certo, stiamo parlando di Adam Medina: lui è del tutto inafferrabile, va oltre l’istinto, il calcolo, qualunque possibilità di previsione. Ma ci sono dei momenti in cui lo guardo e mi sembra che l’oscurità, nei suoi occhi, si faccia un po’ meno cupa; come l’altra sera, quando mi ha portata a letto in braccio e poi mi ha lasciata sola, anche se–l’ho sentito–avrebbe voluto rimanere lì. Lo so che il Diavolo potrebbe distruggermi, ma so anche che avrei tanto da dargli e voglio almeno provarci, a significare qualcosa per lui: magari questo non renderà felice me, ma forse aiuterà Adam a scacciare almeno una parte di tutto quel buio.

 

Grazie al punto di vista alternato, è facile scendere nei pensieri di entrambi: bellissimo il modo in cui a poco a poco il dubbio si insinua in chi è abituato a vivere di certezze ineluttabili, e il gelo bruciante delle fiamme che vogliono fare terra bruciata rischia di cedere il passo alla disperazione. Il saliscendi emotivo dovuto alla convivenza rappresenta per Eva il rischio di incorrere nell’eterna dannazione di un sentimento non corrisposto, ma solido, oltre che esercizio costante di pazienza; nonostante sia davanti al suo idolo, al campione per cui milioni di donne farebbero follie, riesce a smascherarne l’impulso ossessivo di rimanere ancorato ai dolorosi frammenti di cui è composta la sua anima. È al tempo stesso tenera e forte nelle scelte e nei tentativi che fa per avere la sua attenzione, fino a quando non si rassegna a essere una semplice coinquilina in una prigione dorata senza chiavi. E quella maglia col numero undici che si stringe addosso ha il calore di un abbraccio che sa essere impossibile perché Adam, per sua stessa ammissione, è quasi inumano.  I momenti in cui si disconnette, quando li vediamo attraverso gli occhi di Eva o li sentiamo dalla viva voce del protagonista, sono fondamentali per comprenderne i processi psicologici: c’è un mondo devastato e bellissimo in quel venticinquenne che ha visto e fatto tutto, ma lui non riesce a riconoscerlo e si limita a  osservarlo col distacco necessario a chi non sa come gestire emozioni che non prova. Uno dei passaggi più illuminanti in tal senso ce lo regala un dopopartita quando sono circondati dai compagni di squadra e Vittorio, l’amico gay di Sofia, lo ammira con sguardo adorante e senza alcun tipo di vergogna.

 

«Ahi!» protesta Vi, incupendosi, ma subito dopo torna a incrociare lo sguardo nero del Diavolo, e tutta la sua scanzonata sicurezza vacilla pericolosamente. «Okay, mi dispiace» borbotta. «A mia discolpa, potrei dire che sei una specie di sogno erotico che cammina, ma capisco che certe… attenzioni indesiderate possano dare fastidio. Scusa.» Adam lo fissa di rimando, del tutto privo di espressione. «Il tuo problema è un altro.» «Quale?» «Appartieni al genere umano. Io non faccio distinzioni di razza, religione o inclinazione sessuale: odio tutti nello stesso, identico modo.»

 

Sono parole che si incastrano come un confine netto tra lui e il resto del mondo; non gli importa dei soldi, dell’eredità della sua famiglia, tantomeno del proprio nome; è il primo uomo,  che prova a ribellarsi a Dio rivelandosi nella sua forma antitetica e imperfetta. Moderno Lucifero alla ricerca di un nuovo Eden, sa che non vi è alcuna possibilità di redenzione senza che un nuovo angelo giunga a mostrargli la strada. Ed è davvero minuto quell’angelo biondo, che lo guarda e comprende, che lo sostiene, ma deve comunque proteggersi dal rischio di sprofondare nell’oscurità più cupa. Perché Eva può provare a salvare almeno una parte di lui, ma tutto sarà vano se Adam per primo non deciderà  di liberarsi da quel vincolo di sangue che più odia più lo soffoca. E se tutto questo non vi ha incuriosito, che cosa devo dirvi di più, amici Magnetici? Fin da subito vi ho parlato della dicotomia con Love Match e Rolling Stars. Nelle loro mille sfaccettature e splendide caratterizzazioni, i protagonisti precedenti ci hanno fatto toccare da vicino l’oro che adorna le divise dell’Olimpico. Sia Samuel che Edoardo si muovono in un contesto più leggero, mentre Adam ci sputa addosso la sua rabbia e non prova alcun rimorso. Eppure è uno sport romance … È solo uno sport romance, direte voi. No, miei cari, non è proprio così. Perché il calcio c’è, è vero, e adesso conosciamo meglio anche la zona della curva, dove i tamburi risuonano violenti al ritmo della corsa dei giocatori. Ci sono i tifosi e i cori, oltre che l’attaccamento a una maglia che è quanto di più simile a una famiglia vera e propria. Ci sono i riflettori, implacabili come le domande che a valanga tentano di travolgere déi moderni che osservano il mondo da un Olimpo privilegiato. Ma accanto a questi ultimi ci sono delle donne determinate e coraggiose che non si fanno accecare dalle luci sbagliate, ma che, più forti degli uomini per cui si trovano a combattere, scelgono quella giusta, quella più luminosa di tutte; Eva la scava nel buio d’ossidiana negli occhi di Adam, ben presto lontana dall’essere solo quella tifosa che lo ha ammirato per anni da lontano. È lei che ne raccoglie i pezzi e lo culla come se sapesse di doverlo proteggere; è lei che, nonostante non abbia all’apparenza nulla, ha quello che a lui fa davvero male. Perché è amata ed è capace di amare, oltre il buonsenso, oltre al proprio benessere e persino contro l’opinione di chi tiene a lei. Ma, e ci tengo a dirlo perché non voglio che passi il messaggio sbagliato, Eva non è una vittima. È preda delle circostanze sfortunate eppure, salda come una prima ballerina che piega il proprio corpo al limite dell’impossibile grazie ad una volontà ferrea e allenamenti durissimi, si eleva sul palco pretendendo di scegliere la propria musica, il proprio ruolo e il raggiungimento di un sogno che le spetta di diritto perché ha sacrificato tutto sull’altare della danza. E allora eccola qua la vera magia. Ancora una volta quest’autrice ci regala un uomo spezzato, che del dolore fa un’arma implacabile. Un uomo per cui il mondo è solo un’enorme arena dove far sgorgare sangue, fino a quando non appare chi è destinato a salvarlo, non con la pietà, ma con la comprensione necessaria perché sia chiaro che il modo migliore per sopportare il peso di quella lama è farlo con qualcuno di altrettanto forte al proprio fianco.

 

«Perché non sei in giro a fare l’angelo nei migliori teatri del mondo?» Sembra quasi arrabbiato, e ancora una volta io non ho la minima idea di quello che gli passa per la mente. 

«Temo che gli angeli non siano molto richiesti, al momento» affermo sorridendo, mentre raccolgo l’asciugamano e comincio a passarmelo sul viso e sul collo sudato. 

«Dovrebbero esserlo.»


 


 
 
 
 
 
 
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