mercoledì 15 gennaio 2020

Release Blitz a "Un sorriso ancora" di Erika Bottiglia







Genere: Romance contemporaneo - Sport Romance
Editore: Darcy Edizioni
Data d'uscita: 15 Gennaio 2020
Pagine: 410
Prezzo: e-book 2,99 (preorder 0,99 fino al giorno d'uscita) (disponibile con KU)

Link d'acquisto

A lei un incidente ha portato via tutto.
Lui è stato spezzato dall’amore.
Entrambi hanno eretto un muro per non dover più soffrire, ma appena i loro occhi si
incrociano in un pub affollato qualcosa cambia... il cuore sembra ritornare a battere.
Lui diventa il suo antidoto.
Lei la sua boccata d’aria.
Saranno in grado di andare oltre la paura che si annida nei loro cuori e fare spazio all’altro,
soprattutto quando, dietro le quinte, appare qualcuno pronto a tenerli distanti?




Prologo
Nicoletta

Infilo i guantoni neri a strisce rosse e strofino i pugni l’uno contro l’altro per sentire il
fruscio dell’ecopelle. Saltello sul posto per riscaldare i muscoli e trasformare la tensione che
avverto sulle spalle in una buona dose di adrenalina, mentre butto un’occhiata fugace alla
porta da cui aspetto di vedere entrare il mio coach, ossia mio padre. Non so spiegarmene il
motivo, ma gli occhiali da vista che gli ricadono sul naso importante e la camminata
affrettata, che lo caratterizza perché perennemente in ritardo, riescono ad allentare il nodo
d’ansia allo stomaco che mi striscia addosso prima di ogni incontro.
Controllo l’ora sull’orologio nero appeso dietro alle mie spalle, chiedendomi dove sia
finito; avrà di certo trovato confusione tornando dalla posta. Gliel’avevo detto stamattina di
spedire il pacco domani; il solito testardo. Beh, nell’attesa che lui arrivi, continuerò a tenermi
impegnata con la mia amata boxe.
Mi muovo scattante avanti e indietro dando via al gioco di gambe, rilasso la postura e
tengo alta la difesa. Colpisco il vuoto con qualche combinazione, immaginandomi già sul
ring ad affrontare la mia avversaria: l’incubo della categoria dei pesi leggeri. Quella ragazza
ha un dritto davvero invidiabile e va sempre a segno. Dà il meglio di sé nelle brevi distanze e
i suoi colpi sono molto potenti. Se voglio avere una possibilità di vittoria contro di lei, devo
evitare che trovi uno spiraglio di debolezza nella mia difesa e mi butti all’angolo senza darmi
un attimo di respiro. Dovrei essere terrorizzata all’idea di salire sul quadrato e trovarmela
faccia a faccia, invece non sto più nella pelle: voglio battermi contro di lei.
Ruoto su me stessa e osservo l’ambiente della stanza. Le pareti, una volta di un
bell’arancione, sono scrostate e macchiate da chiazze di umidità sul soffitto e sui muri
perimetrali. Le ante degli armadietti scricchiolano e appaiono talmente fragili da poter cadere
da un momento all’altro sulle piastrelle scure del pavimento. La poca manutenzione dello
spogliatoio mi sconcerta e mi affretto a sbirciare l’interno delle docce; a prima vista
sembrano pulite e discretamente funzionanti, nonostante vi manchino i soffioni. Potrò darmi
una lavata a fine gara senza il pericolo di incorrere in infezioni fungine, constato con sollievo.

Alzo un piede sulla panca di legno per stringere i laccetti dello stivaletto bianco e poi
faccio lo stesso con l’altra scarpa. Afferro l’asciugamano rosso con il logo della palestra dal
borsone nero e me lo appoggio sul collo. Recupero la bottiglietta d’acqua e conto i minuti che
mi separano dalla mia avversaria.
Non vedo l’ora di iniziare.
La porta si apre e sorrido per nascondere l’ansia sul mio volto, servirà a ben poco, perché
mio padre sgamerà il mio stato d’animo appena mi guarderà in faccia, pazienza.
«Papà sei in…» mi blocco. Non mi scontro con il suo volto affollato da mille scuse, ma
con il viso cereo e scioccato del suo migliore amico. Uno strano senso d’inquietudine si fa
largo in me, stringendomi le budella in una morsa, spiazzandomi, e provo con tutte le forze
ad allontanare il peggiore dei miei incubi dalla mente.
«Davide?»
Il suo nome mi sfugge in un fievole sussurro, quasi come se avessi paura di ciò che
potrebbe dirmi.
Lui rimane impalato sulla soglia, si morde il labbro, mi fissa e distoglie i suoi occhi verdi
dai miei, non trovando il coraggio di dirmi ciò che il suo viso mi ha urlato appena entrato.
Solo allora mi accorgo dei due uomini in divisa di fianco a lui.
Il cuore aumenta la sua corsa nel petto. Le lacrime colano all’improvviso sul viso. Il
respiro si mozza nei polmoni.
Il più alto dei carabinieri, che non sembra avere più di trent’anni, lo scosta dolcemente per
farsi spazio e io mi sento morire. Non mi piace come i suoi occhi scuri mi squadrano; non mi
piace sentirmi impotente di fronte a tre paia di occhi che aspettano di vedermi crollare.
Ignoro ognuno di loro, ormai ombre di un incubo crudele, e fisso la porta con disperata
agonia. Prego che sia tutto un bruttissimo scherzo e che mio padre entrerà nello spogliatoio
tra pochi minuti con il respiro affannato e la sua chioma brizzolata. Mi abbraccerà stretta
stretta a lui e manderà al diavolo queste persone per aver ridotto il mio povero cuore in
brandelli.
Ti prego, non puoi lasciarmi!
Sento ogni secondo scandirsi lentamente e prepotentemente dentro di me come il ticchettio
di un orologio, eppure lui non arriva.
«Nicoletta Corsi?»
La voce gentile del carabiniere mi chiama a sé e io vorrei solo urlargli di andarsene
affanculo, che sta sbagliando persona, ma non riesco a fare nulla di tutto ciò. Spaesata,

rivolgo la mia attenzione a lui, impaurita dalle parole che potrebbe pronunciare se solo
provassi a emettere un lieve sospiro.
Trattengo il labbro inferiore tra i denti e accenno un piccolo movimento del capo. Il suo
modo di osservarmi mi fa sentire… Indifesa. Fragile. Impotente.
«Suo padre ha avuto un incidente con la macchina. Dovrebbe…»
«Lo hanno portato in ospedale, per questo lei è qui? Devo seguirvi, ma non è nulla di
grave, vero?»
Più la mia supplica diventa sofferente, più l’espressione sul suo viso perde
l’imperturbabilità e mi dà le risposte di cui ho bisogno. Mi affloscio a terra, copro il viso con
i guantoni e scoppio a piangere disperatamente. In un attimo Davide mi è vicino, mi avvolge
tra le sue braccia e mi stringe a sé per darmi conforto. Io rimango apatica, mentre il mio
mondo si frantuma sotto i piedi.
«Piccola, mi dispiace così tanto.»
La sua voce è vellutata e mi sfiora con tenerezza, ma non riesco a darle attenzione.
Vorrei urlare per la disperazione, ma le parole mi rimangono incastrate in gola. Non riesco
a respirare, è come se il mio cuore venisse infilzato lentamente da una lama incandescente e
poi lacerato con brutale crudeltà: mi toglie il fiato.
Guardo la porta pregando che sia solo un brutto sogno, perché lui non può essersene
andato davvero, mio padre non può avermi lasciata da sola. Non può essere…
«È morto, Davide. Mio padre è morto, non… non lo rivedrò più…»
E solo quando riesco a dare voce alle mie parole, prendo coscienza del vero significato che
si cela dietro a ciò che è appena successo e ne vengo travolta.
Ripenso a lui, al suo profumo di sandalo, ai suoi occhi più chiari dei miei, alla sua
passione per la boxe e mi sento morire. Non sentirò più la sua voce in casa; non sentirò più le
sue lamentele quando rincaserò tardi; non sentirò i suoi incoraggiamenti durante i nostri
allenamenti.
Mi restano solo i miei ricordi e le foto sparpagliate in casa per non dimenticarmi di lui. Ma
non mi basteranno mai! Dimenticherò il suo timbro di voce; dimenticherò la sua risata;
dimenticherò le sue sfuriate. Dimenticherò ciò che le foto non riescono a immortalare, i
ricordi che non sono stati catturati da una polaroid o da un cellulare.
Mi lascio andare a un pianto angosciante pieno di singhiozzi, che mi strappano via il
respiro e mi mandano in apnea. Mi chiedo disperatamente come sia potuto accadere. Cerco
invano di trovare una risposta alla sola domanda che mi martella in testa, furiosamente.
Perché?

Perché?
Perché?
Perché mi è stata strappata via l’unica famiglia che avevo?
Ma non ne trovo.


Erika è nata a Catania nel 1991.
Laureata in Economia Aziendale prosegue gli studi magistrali in Direzione aziendale.
Si è avvicinata alla lettura al terzo anno di liceo, tramite un concorso letterario in cui venne
iscritta con l’intera classe; è stato amore a prima vista.
Vorrebbe che le giornate fossero più lunghe di 24 ore per avere più tempo da dedicare alla
lettura e alla scrittura.
Cammina sempre con un libro in borsa, le immancabili cuffie alle orecchie ed è sempre con la testa fra le nuvole.

Nessun commento:

Posta un commento