Ma ci sono segreti che hanno il potere di porre fine a ogni cosa.
Principessa reietta. Traditrice. Regina.
Abbandonando il suo popolo e il suo diritto di nascita, Elise Lysander si è guadagnata un posto al fianco del nuovo re fae di una terra distrutta. Venerata da pochi, odiata da molti, la lotta per il suo amore e la sua libertà è solo al principio.
Quando i segreti del castello di Ravenspire vengono alla luce, Elise e il Principe della Notte scoprono che i loro nemici hanno più potere di quanto abbiano mai immaginato.
Per sconfiggerli ci vorrà ben più di una lama.
I due si ritroveranno a destreggiarsi tra le pericolose richieste di un fratello imprigionato e una profezia del fato custodita nelle mani di una brutale sorella. Un’involontaria alleanza con un ladro oscuro di un regno vicino potrebbe culminare in una vittoria o in altra morte.
Il sangue chiama. La guerra risponderà.
Per Elise e Valen questa battaglia potrebbe portare alla tanto agognata salvezza… o alla distruzione crudele di tutto ciò che amano.
«Voglio liberare la mia gente, mio fratello. E poi voglio uccidere coloro che lo hanno tenuto prigioniero per due cicli.»
Ormai quasi più nessun autore, soprattutto nel ramo del fantasy, riesce a scrivere un romanzo autoconclusivo. È una realtà, Amici Magnetici, e lo vediamo dall’invasione di serie che popolano la rete e le librerie, spesso con splendide copertine e in edizioni ricercate con spray edges che ci fanno brillare gli occhi. Talvolta ne potremmo fare volentieri a meno, se proprio vogliamo, e non è insolito chiedersi che bisogno ci sia di scrivere, scrivere e ancora scrivere per allungare il brodo e tirar fuori minimo una trilogia. Perché di questo si tratta, e mi spiace se appaio severa. Poi ci sono le eccezioni. La serie di cui Una Corona di Sangue e Rovina rappresenta l’epilogo, almeno per quanto riguarda la storia con Valen ed Elise protagonisti, è proprio una di queste, e felice tra l’altro. Innanzitutto spiego meglio l’inciso che ho appena fatto: la serie The Broken Kingdom al momento conta nove libri pubblicati, suddivisi in tre trilogie di cui questo romanzo chiude la prima. Se il protagonista maschile della seconda è uno dei personaggi più interessanti nella storia che ho appena terminato, quello della terza lo conosciamo già molto bene perché si tratta di Ari, primo rivoltoso contro Timoran e spina nel fianco per Elise e Valen, oltre che unico latore di leggerezza e ironia nelle intricate vicende di Ruskig. Tutto questo per dirvi che, anche se darete una possibilità a Una Corona di Sangue e Rovina, concludendo così una parte del percorso, di certo ritroverete i suoi protagonisti nei sei volumi successivi, perché l’ultimo capitolo del romanzo crea aperture di tutto rispetto e possibilità infinite per coloro che fino a ora sono stati “solo” comprimari.
Ma torniamo al romanzo, perché è di questo che dobbiamo parlare. A volte mi stupisco di come le serie migliorino, invece di peggiorare, e questo ne è un caso lampante. Nel primo libro abbiamo conosciuto la corte di Ravenspire e le trame familiari tessute per costringere la seconda Kvinna Elise a stringere un matrimonio combinato, oltre che il dolore del ricatto e il crollo delle certezze della protagonista; abbiamo scoperto il segreto della Gilda della Notte e il vero volto del Fantasma che terrorizza i mercanti, spingendoci a vedere oltre le apparenze. Nel secondo si stabiliscono nuovi legami, approfondiamo le storie dei Regnanti antichi, mentre le lettere della Regina Lilianna risuonano come conforto e disperazione per tutto il libro, squarciando il velo sulla vita dell’erede più giovane della dinastia Ferus. Gli alleati si trovano a Ruskig dove creano una nuova corte della Notte; Tor, Halvar, Mattis, i componenti della Gilda, tutti coloro che Ari è riuscito a salvare dal destino infame voluto dal falso re Calder, le donne, i bambini, i soldati, adesso sono riuniti in un unico luogo protetto dalla Furia e ben lontano dai fasti di un castello reale. Abbiamo avuto modo di scoprire che nelle segrete di Ravenspire Sol, il principe del Sole e fratello maggiore di Valen, è ancora vivo, anche se torturato per cicli grazie agli incantesimi di distorsione della Furia che l’hanno reso incosciente e un’arma incredibile di distruzione di massa.
Ed è proprio con la consapevolezza di dover trovare ulteriori alleati per muovere finalmente guerra contro Calder e Runa che si apre quest’ultimo romanzo. Elise e Valen devono fare i conti con le profezie, soprattutto se a ricordarle è proprio quel fratello ritenuto ormai perduto per sempre insieme al resto della famiglia. È impossibile dimenticare Calista, eppure nelle centinaia di pagine della trilogia si nascondono quelle parole che ogni tanto risalgono in superficie, soprattutto nei dubbi di Elise che si chiede come possa essere diventata parte di uno schema così grande e complesso, dove combatte come guerriera contro la propria famiglia d’origine accanto a quella di cui adesso ha scelto di far parte.
Se volevo stare al fianco di Valen, dovevo anche imparare a gestire da sola i problemi dovuti al meschino scontento per il fatto che fossi Timoran.
Le sue origini, che per la maggior parte del popolo di rivoltosi non rappresentano un problema, per altri invece sono un oltraggio. Nonostante l’antica regina Lilianna fosse Timoran, per loro Elise non potrà mai assurgere a consorte legittima del vero re, potendo esserne al massimo l’amante, per quanto tale status sia di altissimo lignaggio. Eppure, nonostante le crepe inflitte dal timore del diverso, la scissione definitiva dalla famiglia, le paure che la attanagliano, Elise evolve o, semplicemente, diviene quella che era destinata a essere fin dall’inizio. Di certo tutti i personaggi subiscono un cambiamento, ma è evidente che lei compia il vero salto, sia per l’importanza delle rinunce fatte che per la forza necessaria a sopravvivere in situazioni difficili. Il fatto che sul suo presente e futuro incomba l’ombra della morte per sé e per coloro che ama non le impedisce di reagire, non la blocca, ma la sprona ad andare avanti, vestendosi di rune di guerra in modo letterale e figurato. Essere sempre stata la seconda per la propria famiglia le ha dato la forza di ergersi come prima nei momenti in cui conta davvero, specchio di una guerriera del passato le cui parole le danno conforto, anche se solo in forma di diari in cui sprofonda nelle notti inquiete, quelle in cui nemmeno Valen riesce a strapparla alle ombre.
Sorrisi. Lui era maledetto e io intrappolata in un mondo che odiavo, ma ridevamo spesso. Avevamo pochi fardelli davvero pesanti. Da non credere cosa sarebbe successo dopo che le nostre vite si erano incrociate.
Sono lontani i tempi in cui s'intratteneva col falso Legion Grey, chiamato a corte come negoziatore per trovarle un marito adeguato, eppure non cambierebbe nulla della sua vita al campo, dove non vi è alcuna formalità nei confronti dei reali, ma un legame di fratellanza che pare inscindibile. E se ulteriori segreti vengono alla luce mentre le profezie parlano ancora, nuovi compagni giungono dal mare a portare una ventata di oscura presenza, richiamati dall’amicizia con Junius. Dalle navi scende un’altra Gilda di ladri e assassini capitana da Niklas, il marito di Jun, ma soprattutto lo Squarcianotte delle leggende, uomo cupo con occhi che passano dal colore dell’ambra al nero totale che inghiotte la sclera, distaccato, silenzioso, indifferente alla maggior parte di ciò che lo circonda. È il prototipo del reietto per eccellenza, di ciò che significa essere una razza magica tradita dai suoi stessi governanti che nella magia vedono un mezzo per acquistare soldi, potere e prestigio. La storia degli Alver, che già nei libri precedenti abbiamo sfiorato, è uno dei punti chiave dell’intera struttura narrativa, perché esplora ancora una volta il distacco tra le varie regioni del Continente e il modo in cui umani ed esseri magici, qualsiasi sia il loro potere, sono in qualche modo destinati a combattersi l’uno con l’altro; se Etta ha bisogno della Furia per tornare a risplendere secondo la volontà degli Dei, anche il regno al di là dei mari vive una condizione di frustrante soppressione dei portatori di poteri. Lo Squarcianotte incarna l’apoteosi di questo modo di concepire un regno, ed è quasi figura luciferina di ribellione e bellezza del primo angelo, caduto per un motivo che molto ha a che fare con il desiderio di libertà e molto poco con un ipotetico odio per il Divino. Parlare di lui, che sarà protagonista della seconda trilogia di cui ho accennato, non è semplice; innanzitutto non voglio togliere alla dinastia Ferus il ruolo centrale, ma al contempo è necessario perché le storie sono interconnesse tra loro e in qualche modo intrecciate con le parole, le maledizioni e le premonizioni delle incantatrici che a lungo sono state tenute imprigionate per dilettare le corti. Diventa dunque chiaro che il ruolo di ogni giocatore è determinante affinché la scacchiera sia a favore della liberazione da parte dell’Oppressore, topos imprescindibile in qualsiasi fantasy, sia che vi sia una costruzione forte come in questo caso o debole come in molti altri. Il world building è complesso e a mio avviso diventa più articolato in ogni libro, raggiungendo in questo il suo massimo splendore per quanto riguarda il Regno Settentrionale. Al tempo stesso, gli accenni agli altri regni e soprattutto alla Masque av Aska che ha luogo ad ogni ciclo nel Regno dell’Est, aprono la possibilità di creare filoni narrativi cruciali per la comprensione di tutto quello che avviene nell’intero continente. È proprio lo Squarcianotte, nella sua riluttanza, a raccontare a Elise quello che avviene a Oriente, mentre sempre sue sono le parole che, nel discorso più lungo che compie nell’intera opera, la spingono a combattere lo sconforto dopo che Valen è andato in missione a Ravenspire.
«Valen Ferus non è affatto debole. Temo per lui perché ne sono innamorata, Squarcianotte. Un’emozione che, devo immaginare, voi chiaramente non possiate comprendere. E nessuno è in grado di resistere al dolore come lui. Se fosse qui, creerebbe una voragine e vi ci farebbe precipitare.» «Affascinante. Ho sentito parlare molto dei vostri Notturni. Stando alle voci, lui è l’unico con il potere della terra in un migliaio di cicli, giusto?» «Esatto. Ma non è la Furia a renderlo incredibile. È sopravvissuto a maledizioni e crudeltà e rimane comunque l’uomo più gentile che abbia mai conosciuto.» «Allora smettete di temere per lui,» disse, in tono vagamente canzonatorio. «E iniziate invece ad arrabbiarvi per lui, odiare per lui, versare sangue e spaccare ossa per lui, ma diamine, donna, basta temere per lui. Se davvero è come dite, si vergognerebbe se sapesse che non lo ritenete capace di sopravvivere a una cosa del genere.»
Eppure non solo lui ricopre un ruolo centrale nell’opera. Sarebbe ingiusto tralasciare una figura femminile che dal silenzio leva la propria voce, tantomeno tutti coloro che scelgono di lottare per quello in cui credono, un regno libero dall’oppressione pronto per ritornare agli antichi fasti, dove regnava non un’unica discendenza, ma un’unione sacra tra diversi, rimarcando ancora una volta l’inclusività necessaria, tema centrale del fantasy insieme alla libertà di sbagliare nel corso di un cammino predestinato o meno. Le battaglie, i momenti di cameratismo tra i compagni, le schermaglie e gli scherzi, oltre che il legame dolcissimo che lega Valen ed Elise, sono calibrati in modo intelligente, con un ritmo che si alterna come una danza discontinua tra accelerazioni e rallentamenti, ma sempre tenendo alta la frequenza cardiaca. È un romanzo che scorre veloce perché ricco d’azione, senza tempi morti o particolarmente riflessivi, in cui il doppio punto di vista ci mostra un’attenta visione di insieme anche quando i protagonisti sono lontani e stanno combattendo su fronti diversi. Onore al merito all’autrice dunque, che ha saputo costruire una saga con un crescendo nella struttura e nello stile, avvalorandosi di un mix interessante di retaggi celtici, vampireschi, sciamanici e con un’astuta strizzata d’occhio alla capacità quasi divina di sconfiggere persino il sonno della Morte. Eppure tutto questo non crea confusione, ma s'incastra in modo piacevole, spalancando le porte alle storie successive che, come abbiamo già intuito, vedranno gli altri Regni protagonisti nella ricerca della verità, sull’esempio di un Nord che pareva non avere speranze, ma che, alla fine, è riuscito nel suo intento di far fiorire nuovamente la spiraluna dove prima non vi erano altro che rami secchi e foglie morte.
«Un racconto della tradizione. Quattro regine un giorno riporteranno equilibrio a tutti i doni della sorte: Scelta, Devozione, Onore e Scaltrezza.» «Sarebbero questi i doni della sorte?»
Noi lo scopriremo solo alla fine, probabilmente, ma mentre scrivo rifletto sul fatto che questo possa solo significare che forse i libri saranno dodici, una trilogia per ogni dono, anche se nessuno ne fa menzione diretta e le parole sopracitate sono proprio di colui che più sa e meno parla in tutta l’opera. Quindi non ci resta che aspettare le traduzioni o lanciarci sugli originali che, a quanto leggo dai vari commenti, alzano ancora di più il tiro su molti fronti, facendomi pensare che non valga la pena aspettare che siano editi in Italia per assaporarli direttamente così come l’autrice li ha creati.
Nessun commento:
Posta un commento