«Non avrai altro Dio all’infuori di me. Non avrai niente oltre a me e i colori, perché adesso sei mia.»
Cari Magnetici, capita a volte nei libri, come nella vita, di imbattersi in situazioni difficili da concepire e in concetti ancora più ostici da spiegare e quindi prenderò il parlarvi di questo libro come una sfida, cercando di darvene davvero il quadro che merita.
I personaggi ci mettono sicuramente del loro a complicarmi la vita, se siete reduci dalla lettura dei primi due volumi della serie saprete che, parlare di Mimì e del Ronin è tutt’altro che semplice.
Che cosa scegliamo di vedere in loro è la prima domanda: lei è la piccola artista pazza, la figlia non all’altezza, la schiava sessuale caduta nella rete di un ragno che definire letale sarebbe a dir poco lusinghiero. Ma Mimì è molto altro, è un raggio di sole in una giornata di inverno, un arcobaleno che esce da un prisma in cui la luce viene scomposta in mille fasci colorati, una pianta troppo fragile per reggere i rigori di un clima inclemente. I colori sono il modo in cui percepisce il mondo, la sua via per comprendere la vera natura delle cose, la strada che si spiana in un mare di voci che la confondono, che la tormentano che si silenziano solo nel nero.
Nero puro. Riesce a squarciarmi la carne per arrivare alle ossa ed è la stessa sensazione di ieri. Lo so, ne sono certa, è di nuovo lui. Seguo il brivido che diventa un filo seppia e guida i miei occhi dall’altra parte della strada fino a incrociare i suoi. Lo sconosciuto del parco se ne sta appoggiato al muro, all’ombra dell’albero, e la sua presenza è tanto dominante da far schizzare alle stelle le tonalità delle pietre alle sue spalle. È così profondo, assoluto, da far brillare qualsiasi cosa lo circondi per contrasto. È pericoloso. È la perfezione. Mi fa paura… ne ho bisogno.
Ron è il nero, la mancanza di luce, di colore di empatia verso qualsiasi creatura, è una voragine che tutto inghiotte fino a farti sprofondare nel nulla. È colui che prova divertimento nel farti credere di avere una scelta che invece non hai mai avuto, perché ogni cosa fin dal principio è stata orchestrata per renderti una vittima designata. Distrugge sistematicamente qualsiasi cosa che conosce, come un bambino che butta il giocattolo quando questo lo annoia, quando non gli serve più, quando lo ha rotto.
Riempie la sua noia dei lamenti delle persone che si diverte a manipolare, a spezzare, a uccidere e la sua violenza ha una nota di elegante brutalità, una nota di bieco sadismo che tutto controlla e tutto annienta.
Mi mancava il brivido di sentire il bisogno di possedere qualcosa a ogni costo. Un giocattolo nuovo. Sogghigno ed espiro il fumo, la guardo allontanarsi e il suo passo è sinuoso, eppure serba qualcosa di incerto. Forse non sa ancora quale sia il suo posto in questo mondo e glielo mostrerò io, che sia d’accordo o meno. Dovrò trovarle il giusto spazio. Senza fretta.
Mimì non ha mai avuto scelta né scampo è una vittima destinata all’altare di un dio pagano che non conosce pena o pietà. Ron è lo scienziato pazzo che gioca ad incastrare le altrui debolezze, che compone mostri con i pezzi delle anime di cui fa incetta. Mimì non ha mai avuto scampo, è l’animale che conosce solo la gabbia, che non è in grado di sopravvivere senza un guardiano che provveda a lui, questo è ciò che lui l’ha resa, sua, inesorabilmente e definitivamente, sua a livello talmente viscerale che è come se lui le scorresse sottopelle, come quei colori cupi che lei continua a vedergli mulinare intorno.
«Lacca di Garanza.» «Cosa?» È una nuvola impalpabile che va dissolvendosi attorno a lui. «Una sfumatura nel tuo nero.» Ron mi afferra di colpo il polso e sussulto. Lo stringe con forza e il dolore si irradia lungo il braccio. Socchiude appena le palpebre. «Fammi capire.» Il suo è un ordine e annichilisce la paura di confessare la verità. «I tuoi colori.» «Cosa diavolo vedi?» Allenta la morsa, ciononostante continua ad attraversarmi la pelle. «I colori.»
Ma forse, tra i due la vera vincitrice è proprio Mimì, perché non smette mai di “sentire” non perde mai la sua umanità. Per lei non è prevista una redenzione, perché non è programmata per cercarla. La sua fine sta nell’annullamento totale di ciò che è a favore del dio che si è scelta. È la vittima che, pur nel sacrificio estremo, vince sul carnefice e la storia con il Ronin è il suo personale martirio.
Se i sentimenti sono debolezza, come è possibile averne una senza provarli? E poi ho capito: sono incapace di amare altri, ma amo in maniera sconfinata me stesso e ciò che sono. Io sono diventato la falla nel mio sistema perfetto. Io ho creato un gioco che mi si è ritorto contro. Io sono diventato dipendente dal piacere che provo nell’essere venerato da un’artista fuori di testa. Non è lei a incatenarmi, bensì il mio ego. Mi sono ....... da solo.
Ron non conosce l’amore, non ha la capacità di provarlo, quello che concepisce è l’interesse verso un qualcosa, la voglia di porre qualcuno al centro di una sadica fantasia che lo interessi e lo stimoli. L’acquisizione del controllo sulle persone al punto da poterne disporre totalmente, da poter decidere di sfruttarle, buttarle o addirittura ucciderle, senza pentimento, senza rimorso. Sono emozioni estranee al suo sentire. Porta avanti un piano congegnato nella sua testa, che non mira ad accrescere ricchezza e potere, mira a controllare coloro che rientrano nella sua sfera di interesse, perché questo è l’unica forma di cura che conosce. Il sapere di poterli manovrare o annientare a seconda del caso, a seconda di quanto il gioco lo diverta o lo annoi.
«Ama il tuo dio, piccola artista.» Devo affondare i denti nella debolezza più grande, imprigionarla con un sentimento che nemmeno prova per me, ma che la soggiogherà a causa della sua necessità dei colori e di essere accettata. «Amami fino alla morte.»
A loro modo sia Ron che Mimì sono due figure tragiche, lui nel suo non sentire, lei nel suo sentire troppo, a nessuna delle due è data una scelta perché questa è la loro natura intrinseca, e non possono opporvisi nemmeno per cambiare o evolvere, non c’è mai stato un lieto fine per quella che non è mai stata una favola.
Non posso che complimentarmi con Kyra per aver saputo governare questa storia in maniera magistrale.
Ron era un personaggio con un alto potenziale distruttivo, ma lei ha saputo rendere la sua mostruosità elegante, le violenze e gli abusi che vengono descritti non hanno il senso di spettacolarizzare il racconto, ma quello di dargli una sua profondità, un senso. Non era la redenzione del protagonista il senso, perché questo lo avrebbe totalmente snaturato, così come non lo era suscitare sentimenti di pietà nei confronti di Mimì, il senso sta nel viaggio che hanno compiuto e nel come l’autrice ha saputo accompagnarli lasciandoli semplicemente raccontarsi.
Un libro per molti, per tutti quelli che si sforzeranno di capirlo e di amarlo per quello che è, ma sicuramente non per tutti, e ora che la storia ha acquistato nuovi significati, ora che Ron ha disposto tutte le pedine sulla scacchiera, non ci resta che capire come si concluderà la partita.
«Uccidimi, ma tienimi con te.» Amami senza amore, solo per quella che sono.
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