Sono passate soltanto due settimane» gli feci notare.
«Per te sono passate due settimane. Per me, dieci città.» Mi prese la mano, intrecciando le dita alle mie. Allusivo.
«Be’, se è così che misuri il tempo…»
«Dieci città… quanti sono, tredici concerti? Trecentocinquantamila ragazze urlanti… che non erano te.»
Non ero sicura che avrei scritto questa recensione, amici Magnetici, perché ho comprato il libro di testa mia e non vi erano alcuni “obblighi” nei confronti della casa editrice cui il romanzo non è stato richiesto. Ho visto il film, l’ho amato, e ho deciso di leggere il romanzo da cui è tratto, oltretutto senza grandi aspettative. Siamo così abituati a essere delusi dalle trasposizioni cinematografiche che restiamo abbastanza perplessi quando invece le amiamo quasi più della parola scritta che ha dato loro vita. Ma andiamo con ordine, perché mi è servita una settimana per far pace con la mia coscienza e voglio essere, strano a dirsi, delicata. E poi mettiamoci anche i tre giorni trascorsi dal momento in cui ho scritto e questo in cui sto revisionando, quindi probabile che ne esca fuori un mezzo pasticcio. La storia è molto semplice e ha l’indubbio merito di avere due protagonisti di un certo spessore. È risaputo che si tratti di un reverse age gap, dunque la donna è più grande dell’uomo, genere che, per quanto apprezzato nella vita reale, nei libri è ancora piuttosto di nicchia, quasi fosse un parente povero dell’usuale age gap. Solène Marchand, trentanovenne con un divorzio doloroso all’attivo e una carriera da gallerista ben avviata, a causa dell’improvvisa indisponibilità dell’ex marito Daniel, è costretta a fare da accompagnatrice alla figlia dodicenne e alle sue amiche al concerto del più famoso gruppo pop del momento, gli August Moon. Spaesata dal caos dell’evento e di certo fuori posto come poche, conoscere i cinque ragazzi del gruppo si rivela tutt’altro che sgradevole soprattutto quando il cantante, Hayes, la inchioda a suon di battute ironiche e delicate. Solène è una madre single votata al lavoro e a Isabelle, non del tutto indifferente al fatto che Daniel si sia ricostruito una vita con una ragazza di dieci anni più giovane, ma comunque impreparata al ciclone Hayes. Quell’inglese che non riesce a toglierle gli occhi di dosso, che è bellissimo, spiritoso e che oltretutto sa esattamente cosa dire per farla sentire speciale, entra a gamba tesa per abbattere tutte le sue barriere nel giro di pochissimo tempo, mentre lei osserva distaccata le possibilità che quella storia, inevitabilmente, finisca.
Tralasciando l’ovvio, e cioè che insieme fanno scintille e che Solène decide di seguirlo in giro per il mondo quando ne ha la possibilità, ci sono aspetti del romanzo che vanno sottolineati, a prescindere dalla trama. Innanzitutto Hayes; nonostante il punto di vista univoco non sia il suo, emerge dalle pagine in modo dirompente, con la spavalderia che nasconde timidezza e un enorme talento, col suo modo di prendersi in giro nonostante sia lui l’artefice della creazione del gruppo e l’autore delle canzoni che milioni di persone conoscono e cantano ai concerti. È testardo e affascinante, lontano dallo stereotipo della star maledetta, dolcissimo e attento nelle interazioni con le fan, memore che un solo sbaglio possa costargli la carriera. Questo emerge dalle pagine e dal film, mentre un aspetto su pellicola è stato del tutto trascurato. Se il film si concentra sull’evoluzione del rapporto tra i protagonisti e sul peso della notorietà che rende la vita impossibile a chiunque graviti intorno agli August Moon, non vi è quasi alcuna menzione del lavoro di Solène. Il romanzo dà credito alla sua passione e alla sua cultura nell’ambito dell’arte contemporanea, vi sono moltissimi riferimenti ad artisti viventi e ogni città diventa luogo di scoperte che spingono il lettore a cercare su Wikipedia gli autori e i titoli delle opere citate. Ma soprattutto, ed è questo l’aspetto fondamentale, vi è un chiaro riferimento al ruolo della donna, ancora emarginata soprattutto dopo una certa età e ancor di più nel mondo dei nomi che contano. Il fatto che la Marchand Raphel Gallery esponga opere di donne sconosciute allo scopo di portare alla ribalta nuovi talenti è il filo conduttore che lega le personalità delle varie voci femminili che si intrecciano con quella di Solène. La sua battaglia affinché quelle inascoltate trovino il proprio spazio spolvera l’intero romanzo di una luce nuova, come se la storia d’amore che sceglie per sé corresse in parallelo con l’enorme sfida nei confronti di un mondo ancora troppo chiuso ed esclusivo. Solène è una donna di quasi quarant’anni che non smette di essere madre e tantomeno una guerriera perché si innamora di un ragazzo che potrebbe essere suo figlio, ma in questo, nonostante i dubbi e le evidenti diversità che esistono tra loro, trova una spinta ulteriore per essere ancora più sfrontata e alzare la voce. C’è un altro aspetto che il romanzo accresce rispetto alla trasposizione cinematografica, anche se è difficilissimo non trovarlo assurdo; la “fotografia” è più incisiva, come se lo stile dell’autrice riuscisse a far trasparire ancor meglio i colori, le sensazioni e gli odori delle città che vengono toccate durante i tour, in un modo che la cinepresa coglie solo in parte. È un romanzo al contempo “visivo” e introspettivo, il cui stile lucido, talvolta impersonale, scandito da battute veloci e taglienti, non toglie nulla alla profondità di un sentimento che nasce a dispetto di qualsiasi muro Solène voglia provare ad alzare.
«Non innamorarti di me, sai, Hayes Campbell.»
«Non mi innamorerò di te. Sono una rockstar. Noi non ci innamoriamo.»
«Sei in una boy band.» Sorrisi, accarezzandogli i capelli.
Sgranò gli occhi e la sua bocca formò una O perfetta. Immaginai che stesse per rimbrottarmi, ma poi si interruppe, sfoderando un sorriso beffardo. «Be’» disse «allora cambia tutto.»
I capitoli, scanditi dai nomi delle città dove si incontrano, sono pezzi di un racconto di viaggio dolceamaro che si intrecciano con una vita presente, quella di madre a Los Angeles, che Solène deve tenere stretta a sé, nonostante le menzogne che racconta alla figlia. Come può andare da Isabelle e dirle che il ragazzo ritratto sui poster nella sua stanza è l’uomo che le fa battere il cuore, l’uomo che in realtà lei sente di conoscere persino più di suo padre? Come può anche solo pensare di destabilizzare il suo mondo, cercando al contempo di non esserne travolta lei stessa? Non può e a lungo, nonostante il parere contrario dello stesso Hayes, decide di racchiudere la sua storia, la sua stessa felicità, in una bolla. Fino a quando, in modo inevitabile, quest’ultima scoppia e Solène deve fare i conti con la fama e con tutto quello che comporta essere vicina a un idolo delle folle, nemmeno libero di uscire a fare una passeggiata senza travestirsi e che, nonostante la giovanissima età, è responsabile per l’immenso entourage cui dà un lavoro. Hayes sa come gestirla, per quanto lo sfinisca, mentre Solène si trova all’improvviso data in pasto ai media ma, soprattutto, alla parte più oscura del fanatismo di milioni di persone che non la accettano accanto a lui. Le offese, le minacce, le ripercussioni sulla vita personale e lavorativa sono atroci coltellate che colpiscono anche Isabelle, e tutto questo comporterà scossoni inauditi al suo equilibrio di donna e madre. Come ho detto al principio, la voce di Solène si sofferma spesso a riflettere sull’impossibilità di un lieto fine, attraverso uno sguardo acuto e doloroso su differenze che, per quanto sbiadite in alcuni momenti, restano lì come un monito e un orologio implacabile. Hayes ha tutta la vita davanti mentre lei sente che il suo tempo, nonostante sia oggettivamente giovane, è rotto da obblighi e legami che non può ignorare. Eppure c’è quella possibilità, quello sguardo limpido che in effetti ne nasconde un milione e non la lascia, che grida appartenenza e un senso di serena accettazione, come se Hayes avesse visto tutto prima di lei, sapesse cogliere sfumature precise dove lei invece vede colori confusi. Bellissimo il modo in cui l’arte si sovrappone alle loro emozioni, come ogni opera sembri scandire un momento preciso della loro storia, come se il mondo non fosse altro che uno specchio da guardare ammirati nell’attesa che ti sveli qualcosa di nuovo e inaspettato su te stesso che lo guardi.
«Sapevo che c’era un motivo se ti ho scelta.»
«Tu hai scelto me?»
Annuì. Ci dirigemmo verso la zona ristorante del locale e aspettammo che ci indicassero un tavolo. Hayes diede il suo nome. Evidentemente aveva prenotato, e trovai divertente che avesse avuto la faccia tosta di credere fin dall’inizio che quella specie di rapimento sarebbe andato in porto.
«Perché mi hai scelta, Hayes?»
«Perché sembrava che tu lo volessi.»
Forse vi sembrerà strano, e di certo la maggior parte di voi nemmeno conosce il romanzo che sto per citare, ma in alcuni momenti questo libro mi ha trasmesso sensazioni simili a quelle provate quando ho letto “L’amante” di Marguerite Duras. Lì non vi erano rockstar, social media e tantomeno una donna adulta innamorata di un ragazzo, semmai il contrario, senza contare che di certo il Mekong e le acque cristalline della baia di Los Angeles hanno ben poco in comune. Ma la luce di quel breve romanzo, l’amarezza del sudore attaccato alla pelle, il lento scivolare verso l’inesorabile è lo stesso, così come simile è lo stile deciso, laconico come i momenti dove non servono parole. Eppure attraverso opere così riesci a sentire tutto quello che la voce narrante, a tratti spezzata e disomogenea, vuole farti sentire, mentre trattieni il fiato e pensi che non può succedere davvero quello che pare stia per succedere, perché si potrebbe rompere qualcosa dentro e non sei assolutamente pronto al fatto che questo avvenga. E non è un caso allora che questo parallelismo così azzardato alla fine trovi le stesse parole in una lingua, quella francese, che è la lingua materna di Solène e della Duras, che non riesce a essere niente di meno che la miglior espressione dell’amore e della cedevolezza, della lucidità del dolore e del distacco.
«C’est ça, l’amour, Solène. Ce n’est pas toujours parfait. Ni Jamais exactement comme tu le souhaites. Mais, quand ça te tombe dessus, ça ne se contrôle pas.»
L’amore, mi disse, non era sempre perfetto, né come ce lo saremmo aspettato. Ma una volta che ci pervadeva, non si poteva controllare.
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