Jack e io abbiamo fatto tutto al contrario, e la colpa è stata sua.
Solo poche settimane prima Rose Coleson era felicemente fidanzata e impiegava tutte le sue energie nei preparativi per l'apertura del locale dei suoi sogni, un'accogliente caffetteria in una delle strade più affollate di New York. Nel giro di poco tempo, però, Rose si ritrova mollata dal fidanzato senza un motivo apparente, e con il suo sogno appeso ad un filo. Il suo defunto zio, proprietario dell’intero edificio destinato a ospitare la caffetteria, ha redatto una clausola testamentaria in cui sancisce che la proprietà verrà ereditata dall’eventuale marito di sua nipote. Ora, senza un potenziale consorte e migliaia di dollari già investiti in un progetto che rischia di non vedere la luce, il futuro di Rose è più grigio che mai. Tuttavia, mai avrebbe immaginato, né nel suo sogno più roseo né nel suo peggiore incubo, di accettare di sposare un perfetto estraneo. Eppure Jack Hawthorne, il giovane affascinante ma enigmatico avvocato dello zio, le propone senza pensarci due volte di diventare sua moglie per aggirare la clausola. Non dovrebbe essere complicato pensare al matrimonio come ad un accordo, ma Rose non riesce a comprendere le ragioni che si nascondono dietro all'offerta: Jack è scontroso e distaccato per la maggior parte del tempo, e burbero le poche volte che le parla. Col passare dei giorni, però il suo comportamento gelido comincia a sciogliersi, e i suoi taciti gesti premurosi e altruistici lasciano il segno nel cuore di Rose. Solo un momento prima Jack Hawthorne non era nessuno per lei, ora sta diventando la sua vita. Solo un momento prima Jack era inaccessibile, ora sembra appartenerle completamente. Solo un momento prima Jack sembrava innamorato di lei, ora… tutto potrebbe rivelarsi solo una bugia.
Nota per la me del passato: NON, ripeto, non accettare mai di sposare il bellissimo sconosciuto di cui non sai assolutamente nulla.
Con un inizio così, Amici Magnetici, questo romanzo detta il ritmo che ci accompagnerà per tutte le quattrocento pagine che lo compongono, in una danza di sorrisi, lacrime e sussulti, davvero ideali per una lettura sotto l’ombrellone o avvolti in una coperta sul divano durante un temporale estivo. Non avevo mai letto niente di quest'autrice, i suoi libri sono già nel carrello del prossimo ordine, e devo dire che è stata una piacevolissima scoperta. Innanzitutto non amo particolarmente i romanzi brevi e “Marriage for One” di certo non lo è. Questo è il primo fattore positivo, ma ve ne sono altri e non ho alcun timore ad affrontarli uno a uno, sperando di non annoiarvi. La storia potrebbe avere un che di “già sentito”, se non fosse che i matrimoni di facciata in effetti sono uno dei miei trope preferiti e, se ben scritti, si rivelano una fonte inesauribile di situazioni divertenti e assurde. Eppure questo non è un chick-lit dove la protagonista svampita, per un motivo o per un altro, si ritrova moglie improvvisata del bellimbusto riccone di turno. Rose è assolutamente centrale con le sue piccole manie, le sue debolezze e il modo divertente che ha di provocare quello strano marito per farlo uscire fuori dagli schemi su cui ha severamente impostato la propria vita. D’altronde lei è un’aspirante proprietaria di caffetteria, il cui film preferito è “C’è Posta per te”, quindi cosa mai può avere in comune con un avvocato di successo il cui freddo appartamento sembra uscito da una rivista di arredamento? In teoria, assolutamente niente. In pratica, una serie infinita di sguardi nascosti, sorrisi negati e dunque contati come Bridget Jones fa con le calorie, momenti imbarazzanti e baci che sanno di nuove scoperte, ideali stratagemmi per far funzionare meglio la finzione in pubblico. Ci sono Jack e Rose, un segreto grande come il Titanic nel mezzo, mentre la protagonista per prima scherza sui loro nomi e sul fatto che quel patto in un modo o nell’altro sarà destinato a un naufragio altrettanto sconsiderato e spettacolare. Ma facciamo un passo indietro. Rose Coleson e Jack Hawthorne si sposano, con solo l’autista Raymond come testimone, in un giorno qualunque di una settimana qualunque, perché lei ha accettato la sua proposta di salvataggio in extremis; a causa di una clausola nel testamento dello zio Gary che l’ha cresciuta, per ottenere l’immobile dove realizzare la caffetteria dei suoi sogni, e per cui ha investito tutti i suoi risparmi, Rose ha bisogno di un marito. Tralasciando l’assurdo strumento patriarcale che rappresenta l’ultima volontà dell’unico uomo che, in un modo o nell’altro, le ha fatto da padre dall’età di nove anni, Jack si offre di aiutarla con la garanzia che, allo scadere del termine prestabilito, possa poi rilevare l’edificio per farne ciò che ne ritiene più opportuno. Per fare questo però deve sposarla. Travolta dalla paura dell’indebitamento e spaesata dalla rottura recente col fidanzato Joshua, Rose accetta, mettendo in moto una serie di eventi che rendono la lettura godibilissima e assolutamente unica nel suo genere, soprattutto per il modo che ha la protagonista di filtrare tutto, come una spugna cangiante e impazzita, restituendo a Jack e a noi quei colori che lui troppo a lungo ha dimenticato di indossare.
Se uno di noi non si fosse rilassato in presenza dell’altro, ero sicura che avrei commesso un omicidio prima della conclusione dei due anni di contratto. E dato che non credevo che Jack si sarebbe mai rilassato né che questo fosse mai successo nella sua vita, a quanto pareva la fortunata vincitrice del sorteggio ero io. Avrei fatto del mio meglio per lasciarmi andare in sua presenza e per ignorare il fatto che fosse il tipo di uomo dal quale di solito giravo alla larga. Perché eravamo ai poli opposti. Perché avevamo due visioni completamente diverse della vita. Perché, perché, perché…
Lui era freddo, suscettibile, talvolta arrogante, distaccato.
Rose lo provoca, gli parla sopra, lo stuzzica quando gli fa capire che le sue interazioni, persino con le persone con cui ha a che fare tutti i giorni, sono del tutto asettiche. Quale scoperta per lui “vedere” davvero per la prima volta il portiere e persino Raymond, che da anni lo sopporta e col quale non hai mai stretto alcun tipo di rapporto. E poi arriva lei, spigliata, sorridente, che fa amicizia con tutti, si interessa di ogni minima sfumatura, si siede per terra a parlare con delle bambine a una festa dell’alta società e si preoccupa di organizzare giorni a tema alla caffetteria in modo che i clienti possano sperimentare viaggi sensoriali solo mangiando un sandwich o una tortina al limone. Rose è lo spirito dell’inclusività, dell’accoglienza, della ricerca di quella famiglia e del calore che non ha mai conosciuto, né in quanto bambina cresciuta in affido, né all’interno di una storia romantica. Si alza all’alba e dorme pochissimo, macinando tonnellate di energia nonostante col passare del tempo la sua salute peggiori. Ed è qui, tra le pagine leggere di un rapporto che si costruisce con empatia, risate, battute sagaci e caustiche, che il romanzo alza il proprio livello. Perché a un certo punto quello che sembrava un semplice raffreddore potrebbe essere la spia di un problema più grave e la giovane squadra di improbabili coniugi viene messa alla prova. Se Rose è tutto sommato impreparata, Jack non lo è, rappresentando quello che per la prima volta lei ha sempre cercato e mai trovato. Le loro solitudini si innestano l’una sull’altra e un’amicizia nasce sulle basi del dolore che entrambi hanno provato. I passi che diventano routine, le scelte che si trasformano in piccoli gesti consolatori, ecco che tutto questo acquista un senso, mentre dall’esterno c’è chi cerca di introdursi in una dinamica che ha bisogno del proprio tempo per evolversi e trovare il ritmo giusto. È finzione però, come possiamo dimenticarlo?
La caffetteria diventa il luogo perfetto per incontri imperfetti, dove rose inaspettate compaiono per ornare i tavolini e il caffè è molto più buono di quello preparato a casa da soli.
Quando Jack bussò alla porta, stavo aspettando che si presentasse da almeno un’ora. Avevo un sorriso enorme sulla faccia quando andai ad aprirgli, lui invece aveva un’espressione sconcertata.
«Ehi. Ciao, Sei in ritardo. Dove sei stato?»
Le sue spesse e prominenti sopracciglia si unirono sulla fronte, ma ciò non smorzò il mio entusiasmo. Era Jack, corrugare la fronte era il suo modo per dire “ciao”.
«Sono in ritardo?»
«Di solito passi prima. Quindi… sei in ritardo.»
«Mi stavi aspettando. »
«Jack, ti aspetto tutti i giorni. Tipo da quasi tre settimane.»
Rose crea una piccola tribù di persone che le si affezionano, a partire dai suoi collaboratori Owen e Sally, passando per Raymond fino al portiere Steve. E in questa congrega Jack, dapprima un po’ spaesato, fa i conti con quello che ha sempre avuto anche solo paura di desiderare e ottenere. Le decisioni che iniziano a prendere insieme, la collaborazione nei progetti comuni, l’amore per il cibo e le inevitabili notti insonni che trascorrono in stanze separate, tutto questo si rimescola davanti all’imprevisto dovuto alla malattia, alla paura degli spazi chiusi, degli aghi, del dolore atroce che fa scoppiare la testa. Eppure ci sono le mani che gentili sfiorano la pelle perché la solitudine si allontani, e le parole sussurrate durante le notti insonni in ospedale, quando l’incognita di un mostro enorme pende come una spada di Damocle su un futuro che forse non è nemmeno troppo assurdo sperare di poter avere insieme. Il ritmo veloce, ma ben cadenzato, gli accordi distinti dei protagonisti che si mescolano creando uno spartito di tutto rispetto, la bellezza di New York e il modo in cui prendono vita i comprimari, tutto contribuisce a creare un piccolo gioiello, un libro che è “rifugio” per le anime perse e per quelle che non sono nemmeno sicure di doversi ritrovare da qualche parte. È una lettura scorrevole, densa di significati e sottintesi, in cui è facile immergersi fino alla fine, da gustare come un cappuccino a un tavolo d’angolo di una caffetteria che diventa casa. Bellissimo vedere due mondi collidere, costringersi a sfiorarsi, per poi rasserenarsi consapevoli di essere l’incastro perfetto in quello scompigliato enigma chiamato vita. Ed è per questo, e per tantissimi altri motivi che non sto a spiegare, che davvero vi consiglio di leggerlo. Amerete le risate di Rose e i silenzi di Jack, le stelle che vi osservano mute in un cielo che sembra troppo grande, a volte, per contenerlo tutto con un unico sguardo. Sentirete il sapore del caffè sulla lingua e i profumi dei dolci, delle rose e delle ghirlande di Natale, tutto in un’unica confezione di leggerezza non fine a se stessa, fuga ideale da un mondo là fuori che a volte fa davvero troppa paura vedere.
Nel grande quadro generale, noi due non eravamo altro che due persone che erano inciampate l’una nell’altra mentre vivevano la propria vita. La gente si lasciava ogni giorno, e noi non eravamo certo speciali rispetto agli altri. Quando il ciclo si ripeteva un po’ di volte, poteva capitare di risvegliarsi una mattina e pensare che in fondo quella persona non avesse contato poi tanto. Allora ci si circondava di gente nuova e quella passata veniva dimenticata.
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