mercoledì 29 novembre 2023

Recensione a "England's Rose" di Estelle Hunt

 


Genere: Romance Contemporaneo
Editore: Self publishing
Data d'uscita: 23 Novembre 2023
Pagine: 423
Prezzo: eBook 2,99

 
 
 
 
La paura a volte è uno specchio che distorce la realtà

Isabel Lloyd è una delle ereditiere più facoltose del Regno Unito. Cresciuta lontano dai genitori, troppo occupati con i doveri imposti dal loro ruolo sociale per concederle le attenzioni di cui ha un disperato bisogno, non ha mai conosciuto la tenerezza e trova conforto soltanto nei libri e negli amati cavalli. La sua vita cambia all’improvviso quando, rimasta orfana, sarà costretta a vivere, fino al compimento della maggiore età, presso colui che la famiglia ha designato come suo tutore: Adam Ashdown, Conte di Warleigh. Adam non è solo un uomo misterioso e scostante, ma si mormora anche che abbia ucciso la moglie. Dalla morte di lei, vive recluso in un’oscura magione, reso folle dal dolore. Il giorno in cui Isabel varca i cancelli di Brighton Manor, i soli ad accoglierla sono i pochi domestici rimasti fedeli al conte. Con il trascorrere del tempo, aggirandosi per le stanze vuote e i silenziosi corridoi del maniero, la giovane inizierà a respirarne la cupa atmosfera e a intuire che vi sono celati dei segreti, sempre più conscia che una presenza la osserva, nascosta nell’ombra. Non ha mai provato tanta paura, eppure non si è mai sentita così viva. Viva al punto da infrangere l’unica regola che le è stata imposta, quella che le proibisce di varcare la soglia che conduce all’ala ovest. Ciò che vi troverà è un uomo abbrutito dal tormento e dal rimorso che la respinge e la attrae al tempo stesso. Sarà Isabel a soccombere o la sua dolcezza riuscirà a riportare la luce nel tenebroso cuore del signore del castello?

 
 
 
 
 
 
 
 

 

Non si può aggiustare qualcosa creata con troppi difetti.

 

O forse si può fare in modo che questi si ricompongano, per creare un insieme nuovo e pieno di luce, rompendo una maledizione che affligge il cuore e taglia la pelle, senza sconti, quasi senza lacrime. 

“La Bella e la Bestia” è la fiaba che preferisco in assoluto; non quella Disney che sporca le trame con troppe canzoni, ma quella oscura, violenta, che appartiene all’immaginario comune. Quella il cui significato più recondito si nasconde nella capacità di vedere oltre le apparenze, amare oltre la cattiveria, sperare anche quando sembra non ci siano vie d’uscita. In questo retelling moderno, ambientato in una Scozia che accarezza lo sguardo col verde dei suoi prati e la pioggia che giunge all’improvviso, troviamo Adam, conte di Warleigh, che dopo anni dall’incidente in cui ha perso la vita la giovane moglie continua a vivere un’esistenza isolata, lontano dalla palpitante vita di società e dall’impero che ha contribuito a creare. Il suo corpo è percorso da cicatrici e il viso, un tempo molto apprezzato dai tabloid, è solcato da una ferita che è solo il promemoria del senso di colpa che lo lacera. Brighton Manor, la splendida residenza di famiglia, è lontana dagli antichi fasti, mentre il padrone di casa si occupa solo dei purosangue della scuderia dove non esita a sobbarcarsi anche dei lavori più umili. Del suo passato solo quegli splendidi esemplari sono rimasti, mentre tutto il resto viene annebbiato costantemente con fiumi di alcool, nei quali si rifugia per non rivivere l’incidente con cui Linda e il figlio che portava in grembo sono morti, in un volo da un precipizio dal quale si è salvato a caro prezzo. I piani di una vita ordinaria, in cui la solitudine che ha scelto è spezzata solo dalla presenza di pochi domestici fidati, si ribaltano all’improvviso quando l’amico di sempre, Jacob, in punto di morte gli chiede di prendere con sé la figlia Isabel. La ragazza, già orfana di madre, ha terminato gli studi, ma non è ancora maggiorenne, per cui è imperativo che abbia una tutela fino al momento di entrare in possesso dell’enorme patrimonio di famiglia. Fin qui i richiami con la storia originale ci sono tutti, anche se abbiamo un’ambientazione moderna e nessuna tazza parlante all’interno di un castello maledetto. Non ci sono nemmeno rose per il momento, quindi nessuno ha fatto infuriare il padrone di casa per averne rubata una. 

Se Adam da subito si appropria della scena come feroce detrattore di se stesso e carnefice del proprio futuro, è su una panchina sferzata dal vento gelido nel giardino del St. Patrick che facciamo conoscenza con Isabel Lloyd, appena diventata orfana anche del padre, dunque del tutto sola al mondo. Solo negli ultimi istanti Jacob ha preso forse la prima vera decisione giusta per la figlia pressoché sconosciuta, perché troppo preso insieme alla moglie a costruirsi una vita nell’alta società ed estendere i tentacoli del proprio potere; affidarla al trentottenne Conte di Warleigh, ormai quasi un eremita, è il mero tentativo di proteggerla da un mondo che lei non è pronta ad affrontare. Ora io potrei anche parlare a lungo dell’arrivo di Isabel alla tenuta, del modo in cui Timothy, Jones e la governante, la Sig.ra Davies, si affezionino a questa ragazzina così silenziosa e con gli occhi malinconici. Potrei anche raccontarvi che Adam decide di non palesarsi come conte, ma solo come uomo di fiducia, l’unico cui è permesso di cavalcare Tanaris, il fiore all’occhiello della scuderia. Potrei divagare, parlando del velo opaco che è disceso su ogni arazzo, sui quadri, sui tappeti consunti di un castello senza vita dove il personale ridotto all’osso, e certo non per motivi di denaro, si muove intorno a quella figura mitica che i giornali hanno descritto come un mostro e un assassino. Potrei, perché no, dirvi che la camera della giovane ospite è l’unica completamente rinnovata, anche se la sua permanenza è davvero un’imposizione difficile per Adam, e che lei si fa benvolere da tutti per la sua cortesia e la sua educazione, adolescente agli antipodi dei coetanei che ama rifugiarsi in biblioteca e cavalcare a lungo nell’enorme parco abbandonato a se stesso. Invece vi parlerò d’altro, di quello che per me è il punto cardine dell’intera opera. Cercherò di farlo senza rovinarvi alcuna sorpresa, anche se ammetto sarà molto difficile. E quindi, amici Magnetici, slegandola dal contesto, vi parlerò di Isabel.

 

Forse le storie di demoni e spiriti maligni che si cibano delle povere anime erano vere, altrimenti come spiegare quei pensieri violenti, quel bisogno viscerale di piacere e dolore? Per suo padre e sua madre era stata un problema che andava allontanato, affidato ad altri e risolto in modo da non provocare danni. Le centinaia di miglia che intercorrevano tra lei e la famiglia avevano reso sempre più sporadiche le visite dei genitori in Scozia e i suoi ritorni a casa, finché l’affetto era sfumato, spazzato via dal risentimento e dalla rabbia.

 

Nei romance, nella maggior parte dei casi almeno, troviamo uno schema vincente e dunque abbastanza utilizzato. Un uomo solo, annientato per qualche motivo dal dolore, finisce per odiare il genere umano e se stesso fino a quando una giovane, spesso giovanissima in effetti, non arriva a stravolgergli la vita per trasformarlo quantomeno in accettabile. Il nostro eroe in questione, che comunque ci piaceva cattivissimo come lo abbiamo conosciuto, finisce per ammorbidirsi e, pur non snaturandosi completamente, subisce una catarsi per mano di un’anima buona, o comunque di certo migliore della sua. Questa era la premessa e penso che possiamo essere tutti d’accordo. La tesi è un’altra. Questo romanzo ha l’enorme merito di averci fatto conoscere una diciassettenne che è molto, molto lontana dalla semplice schematizzazione di cui sopra. Non fraintendetemi, Isabel non è cattiva, affatto, ma è qualcosa di diverso, talmente sfaccettata e complessa da prendersi la scena e non abbandonarla mai, ergendosi in perfetta parità, se non addirittura superando, Adam. E questo, se me lo consentite, ha davvero dello straordinario. Le parole che l’autrice utilizza per raccontarcela, pur attraverso una terza persona che non toglie nulla all’introspezione psicologica dei personaggi, sono decise e sferzanti, taglienti come lame. Isabel non è, o almeno sente di non esserlo, una ragazza normale. Potremmo soffermarci a lungo sul significato intrinseco del termine “normale”, ma non è questo il luogo o il tempo; per quanto la sottoscritta sia comunque refrattaria a considerarlo un aggettivo positivo, immaginiamo una giovane che si sente lontana dal sentire comune, che è cresciuta abbandonata a se stessa e senza ricevere affetto dalle uniche persone che gliene avrebbero dovuto anche solo perché l’hanno generata. Immaginiamo le sue reazioni vivide, fin da piccola, alla ricerca di un contatto umano, mentre anche le tate l’hanno allevata come se la perfezione fosse l’unica opzione accettabile, perfettamente in linea con gli insegnamenti della madre Claire. Come stupirsi se l’unico sentimento che prova è la rabbia? Adam è spezzato, ma la sua controparte è rotta. La loro immediata connessione è figlia del riconoscimento del simile verso il proprio simile, anche se le loro storie e le loro età sono diametralmente opposte. Adam ha conosciuto l’amore di molteplici donne, ha avuto una vita improntata al successo e contribuito a onorare, almeno fino all’incidente, il nome della casata. Isabel è cresciuta da sola, con l’unico scopo di servire la famiglia per diventare o amministratore delegato o una moglie da esporre nei salotti della Londra che conta; i suoi desideri non hanno mai avuto alcun valore e il suo allontanamento è stato necessario, a detta della madre, per forgiarle il carattere e per curare quelle peculiarità che, se portate alla luce, avrebbero potuto mettere in crisi il prestigio stesso della famiglia. 

 

Si era convinta ormai di essere assemblata in pezzi rotti incollati da una materia oscura che negli anni si era mescolata al proprio sangue.  

 

Se è proprio il sangue a farla da padrone, con un richiamo dolce e carezzevole come i petali di una rosa, è altrettanto vero che il suo lento scorrere è l’unico deterrente davanti al nulla più totale. Capirete quello che voglio dire solo leggendo il romanzo, perché il nodo sta proprio qui, in quella specifica caratteristica che Isabel deve nascondere e che dunque la allontana da ogni sentire possibile e conosciuto. L’argomento è trattato con maestria e delicatezza, come spesso l’autrice ha già fatto toccando temi abbastanza scottanti, senza alcun inutile pietismo, lasciando che lei faccia le proprie esperienze, come Adam fa con i propri puledri. Perché non è un caso se, nel marasma delle emozioni che iniziano a scivolarle dentro, sia proprio lui il punto di riferimento che le capisce, osservatore attento nei confronti di quella diciassettenne che doveva essere solo un’ospite temporanea, ma che ha preso possesso, non volendo, del suo cuore e della sua casa. Le cavalcate con Tanaris, i gesti di gentilezza sporadici mascherati sotto una ruvida indifferenza, oltre che un segreto che minaccia di far esplodere un delicato equilibrio, sono tutti elementi che contribuiscono a creare un determinato tipo di rapporto tra tutore e pupilla, un rapporto che riesce a essere un’isola di pace per colei che ha una pietra al posto del cuore e un’anima simile al terreno ghiaioso. 

 

 Lei, che come una ninfa è accoccolata nella serra in contemplazione delle piante di limone, piccola e indifesa, ha una forza enorme che scalpita per uscire da quelle costrizioni che hanno determinato la sua vita; la sua bellezza ha increspature dove un demone si insinua, che respinge il mondo, ma attrae, in modo inevitabile, chi con i propri demoni ha costruito una casa. Ogni interazione tra i due protagonisti, in qualsiasi momento, è scandita in modo perfetto; con Isabel osserviamo le ombre sul ballatoio della biblioteca e sempre con lei saliamo le scale dietro una porta nascosta che conduce a quell’ala Ovest dove l’ingresso le è vietato. 

 

 Se fosse stata diversa non avrebbe mai azionato il dispositivo segreto, non avrebbe desiderato un uomo inadatto. Perciò, dal momento che l’ingranaggio con cui viveva era rotto, tanto valeva trasgredire quella regola e percorrere le scale.  

 

È questa la parola che ricorre spesso nel romanzo, che lei usa per descriversi; Isabel è “rotta”, perché tutto quello che avrebbe dovuto contribuire a costruirla in modo perfetto ha deciso che non ne fosse degna. Adam invece si fregia di un appellativo, quello di mostro, che da anni è associato alla sua persona da parte di chi ha tratto vantaggio o godimento dalla sua caduta. Entrambi sono vittime di un destino crudele svelatosi nelle persone che hanno incrociato la loro strada. Non è un caso che, a distanza di anni, Isabel ricordi ancora quell’uomo che le si era rivolto in modo gentile il giorno in cui si era sposato, così lontano da lei che era solo una bambina. E quindi risiede proprio nella loro unione la forza con cui si rinsalda tutta la storia, nel legame tra due persone che non sono la caricatura di una fiaba dove il buio incontra la luce e si redime, ma dove due oscurità trovano il loro punto di convergenza, libere di decidere come vivere le proprie esistenze anche se al resto del mondo questo non dovesse andare bene. La differenza d’età, il ruolo di tutore, le promesse fatte a un padre morente e il peso di una verità dolorosa sono tutti elementi che Adam deve affrontare nel suo inferno personale, nel momento in cui comprende che non vuole vedere la sua protetta andare via al compimento dei diciotto anni. Ma è lui che si sobbarca del peso della scelta, perché lei deve poter volare in un mondo che non ha mai conosciuto. Lapidarie, come sempre, le parole che Isabel rivolge a Louise su questo, grondanti della certezza che la caratterizza per tutto il romanzo, attribuendole di diritto il posto che le spetta in mezzo alle donne forti e complesse che quest’autrice ci ha regalato fino ad ora.

 

«Lo sai che se apri la gabbia di un uccellino nato in cattività, quell’uccellino non volerà mai via?»

 

Credo sia chiaro, amici Magnetici, che questa coppia si annovera tra le indimenticabili, per il modo in cui è costruita e per il bellissimo approfondimento che è stato fatto con entrambi. È giusto non dimenticare però che, richiamando la fiaba, a Brighton Manor altri personaggi hanno il loro ruolo da svolgere e lo fanno in modo eccellente. Dalla governante al maggiordomo Jones, senza dimenticare l’ironia di Timothy negli scambi impagabili con Adam, tutti contribuiscono a creare un ambiente in cui Isabel si sente protetta. Poco importa se la gloria del blasone sembra lontana, quando ogni stanza racconta un’epoca che scivola fuori attraverso argenteria e ritratti importanti, tra cui non può non spiccare quello di una certa Lady Philippa che conosciamo bene. E se la storia di quest’ultima e di Rupert è impressa nella nostra memoria perché sarebbe impossibile altrimenti, adesso non siamo di fronte a un amore vittoriano, ma a un amore senza tempo, resistente come le scogliere selvagge della Scozia, instancabili nonostante i venti e il mare che le sferzano. Siamo davanti a un uomo e a una giovane donna che hanno scelto di comprendere l’oscurità reciproca, di non lasciarsene spaventare, ma anzi di legarla a doppio filo con innesti di rose screziate rare che riescono a crescere, nonostante le difficoltà, all’ombra degli alberi di limone che hanno accanto.

 

Si limitò a guardarla, spinto dalla certezza che lei stesse riposando dopo anni di lotte. Era un angelo dalle ali spezzate che si muoveva sulla terra con l’inquietudine dei sopravvissuti e il destino l’aveva condotta fino a lui affinché ne curasse le ferite.


 


 
 
 
 
 
 
Grazie all'autrice per averci fornito l'eBook
 
 
 
 

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