venerdì 13 ottobre 2023

Recensione a "L.I.L.Y. #TUTTASBAGLIATA" di Lea Landucci

 



Genere: Young Adult
Editore: Always Publishing
Data d'uscita: 13 Ottobre 2023
Pagine: 360
Prezzo: eBook 3,99 - cartaceo 15,90

 
 
 
 

Lily è una diciassettenne chiusa e ostile, sempre pronta a rifugiarsi nel suo mondo fatto di libri e fumetti. Ha un solo obiettivo nella vita: diventare una mangaka di talento.
Quando ottiene un posto nel programma estivo di una prestigiosa accademia di Manga in Giappone, sua madre per concederle il permesso le impone una sfida: sarà
costretta a uscire dal guscio e soddisfare i dieci punti della sua “lista della crescita”.
Lily dovrà dimostrare di essere capace di stringere relazioni, aprirsi ai cambiamenti e, soprattutto, provare l’ebrezza del suo primo appuntamento romantico.
Sarà in grado di scavare a fondo in sé stessa e trovare la forza per superare le ferite del passato e i nuovi ostacoli
della vita? Riuscirà comunque a tenere al sicuro il suo segreto inconfessabile?

L'unica possibilità sarà quella di farsi aiutare dalle sole persone di cui si può fidare: il fratellastro per il quale ha una cotta assurda da sempre e il suo insopportabile migliore amico.
Una delicata storia d’amore queer che affronta una tematica fondamentale, la scoperta e l’accettazione della propria identità, in un viaggio attraverso un’adolescenza fluida e anti convenzionale.
 
 
 
 
 
 
 

 

Credo di aver visto più terapisti io in diciassette anni che la maggior parte degli individui che abitano questo pianeta nel corso della loro intera vita. Il fatto che io abbia sempre omesso gran parte delle schifezze che ho vissuto non ha aiutato le loro diagnosi, tantomeno le terapie che mi hanno somministrato (e che ho puntualmente sabotato). Ma non ho mai avuto istinti suicidi, non soffro di autolesionismo, disturbi della personalità o patologie cognitive, non sono bipolare, schizofrenica, ossessiva o depressa. E non ho dipendenze, se non quella da fumetti, libri e pasta al burro e parmigiano. Non mi sento né malata, né fragile. Mi sento me, e basta.

 

Ora io potrei iniziare questa recensione gettando un po’ di informazioni sulla trama, infilando citazioni con un minimo di senso al mio flusso di parole e poi buttarli lì, questi cinque petali o stelle che dir si voglia, senza starci a pensare più di tanto; un lavoro preciso, pulito, che avrebbe sicuramente rispettato le regole, una cosa “normale” insomma.

E invece non voglio che sia normale, perché è un aggettivo che ci ho messo anni ad accettare per quello che è: limitante, rozzo, offensivo e, soprattutto, eccezionalmente triste. E quindi cominciamo in un altro modo, tanto io scrivo ed io decido, assumendomene la responsabilità. Sarò lapidaria: questo libro dovrebbe stare sul comodino delle giovani generazioni, almeno dai dodici anni se non prima, e lì dovrebbe rimanere, come una coperta calda di Linus, un porto sicuro in cui andare a spulciare le pagine a caso per trovare delle risposte. Per tirare il fiato quando tutto quello che ti gira intorno è troppo grande, rumorosoincomprensibile, mentre quello che hai dentro è allo stesso tempo troppo grande, rumoroso e incomprensibile. E magari ci sono anche la rabbia e una buona dose di incredulo stupore davanti all’inevitabilità di non essere capiti dalla famiglia, dagli amici, dal contesto che segue binari che dovrebbero portare da qualche parte e invece sono solo il pallido riflesso di quella boccia di vetro dove vogliono che tu ti senta a tuo agio come un pesce rosso.

Solo che i pesci rossi hanno la pessima abitudine di avere tendenze suicide a volte, per cui finisce che te li ritrovi agonizzanti sul tavolo e la loro unica via verso la beatitudine dell’eterno riposo è lo scarico del water. Detto questo, andiamo avanti.

Il romanzo è costruito bene, scritto ancora meglio e i personaggi mordono le pagine come se avessero fame di vita, come se sapessero di non poter fare a meno di essere come sono quando il loro scopo è lasciare il segno. Lo devono leggere i genitori e gli insegnanti, unica speranza, a mio avviso, affinché questo tempo non si avvicini ad essere quanto di più simile alla versione definitiva di un Matrix dai risvolti tristi. Lo devono leggere i pretie in generale coloro che hanno a che fare con la spiritualità e con il delicato compito di alleggerire la strada per le anime gettate in questo mondo spesso senza capirne il motivo. Questo libro lo devono leggere tutti, amici Magnetici, e se non sono stata chiara adesso, mi spiace, ma non saprei cosa altro fare. O forse sì. Forse posso dirvi che le persone come Lily sono più di quelle che immaginate. A volte hanno comportamenti meno eccessivi, sono meno chiuse o focalizzate, ma anche loro cercano un colore che nessuno sembra vedere, come se dovessero abituarsi a occhi che non svolgono il proprio dovere come quelli degli altri. Perché se passi buona parte della tua preadolescenza e adolescenza a sentirti diverso, se non addirittura sbagliato, allora forse, e dico forse, non è che magari è dissonante tutto il resto? Cosa hanno gli “altri” in più rispetto a quello che smuove il cuore delle persone come Lily? Non saprei rispondervi, forse perché io ero e sarò sempre una Lily. Ma lei ha qualcosa che io non avevo, quella consapevolezza che è arrivata dopo e che ha acquietato la sofferenza. Perché nei tuoi quindici o sedici o venticinque anni arrabbiati, quello che provi è solo uno strappo indefinibile: il mondo, là fuori, fa semplicemente schifo. Lily ha i manga e le sue idiosincrasie; altri hanno i libri, il disegno, il cinema, la musica, una passione che li avvolge conferendo un senso, all’esterno, alla loro vita. Perché chiariamolo subito; le persone come Lily un senso ce l’hanno a prescindere, e ne sono consapevoli, il problema sono sempre gli altri. Quello che fa Lea Landucci con le sue parole è semplice smantellamento del lettore; non a caso prende in prestito, con un colpo di genio assoluto, i versi di una canzone molto famosa per quelli della mia età, e pressappoco sconosciuta per i ventenni di oggi, trasformandoli in titoli. Il grido di dolore di “Creep” dei Radiohead è una bandiera per i divergenti; quando Thom Yorke urla disperato “Cosa diavolo sto facendo qui? Questo non è il posto cui appartengo”, noi siamo già stati avvolti dall’intimismo del testo, che ci ha riconosciuto come simili e ci ha preso per mano, come fa il romanzo. Le pagine sono sagge, sanno che se chi sta leggendo prosegue la lettura lo fa perché ne ha bisogno, ma soprattutto perché ha riconosciuto la potenza delle voci che vi s’intrecciano sopra, al pari di un disegno impazzito di Rorschach che va sempre bene, perché tanto siamo tutti matti come il Cappellaio.

 

«Sei una splendida giovane donna, ma non puoi non ammettere che vivi incastrata in una routine che ti limita e ti soffoca. Pensa anche solo a quello che mangi: le stesse cose ogni giorno, senza soluzione di continuità. Ti svegli, fai colazione, vai a scuola, pranzi, fai i compiti, ti metti a disegnare, ceni e ti rintani di nuovo in camera tua per leggere. Tutti i santi giorni la stessa sequenza.»

 

Lily sta bene nel suo mondo organizzato; veste per nascondersi e non cura il proprio aspetto in modo ossessivo, a differenza delle coetanee che frequentano la sua scuola. Legge, ama le serie tv e disegna, tantissimo, sognando il Giappone. Ed è proprio quel viaggio a diventare ago della bilancia; se non cambierà il proprio atteggiamento, se non proverà ad essere più “normale”, sua madre non le darà il permesso per partire, anche nel caso in cui il padre, che vive a seimila chilometri di distanza, lo faccia. Ora c’è da dire che la situazione familiare, o comunque domestica, in cui la giovane si muove è abbastanza particolare. E non importa che abbia una madre e, dopo un coming out ad effetto, anche Veronica come matrigna; non importa che abbia un fratellastro, Cosmo, che è quanto di più irraggiungibile per la sua pseudo cotta adolescenziale. Non importa nemmeno che le dinamiche si stravolgano di continuo perché l’unica cosa che conta è la “Lista della Vergogna” o, per meglio dire, la “Lista della Crescita” come l’ha definita sua madre Isabella. Dieci traguardi da raggiungere che toccano sia Lily come persona che il suo approccio alla famiglia e alla socializzazione; se lei riuscirà a soddisfare tutti i punti entro il ballo della scuola, avrà il permesso di partire. Il fatto di sentirsi ben lontana dall’esperimento sociale della volpe ammaestrata dal Piccolo Principe porta ad una reazione che deflagra come un tuono, per poi rimanere come rumore di fondo ad accompagnare meglio di un pezzo di Einaudi tutto quello che succede dopo.

 

 «Proprio tu, la regina dell’attivismo e del femminismo intersezionale, mi parli di normalità?» Scatto in piedi e cammino avanti e indietro, come una fiera in gabbia. «Ti rendi conto che uno dei concetti con cui combatti da anni è diventato la tua base dissertatoria? Siamo tutti diversi, chi decide cosa sia normale? Chi si erge a catalogatore di comportamenti ed esistenze? Questo sì, questo no, questo è ok perché è uguale agli altri, questo è sbagliato perché diverso. Uguale è solo la dignità che dovremmo riconoscere a ogni essere umano.»

 

 

Come la protagonista, ogni singola pagina di questo libro incarna una battaglia e la passione che è necessario infondervi per vincerla. Lily è sola e poi non lo è più, in un rapporto con Cosmo che si arricchisce di sfumature sempre più complesse, fino alla realizzazione di quello che, forse, è quanto di più spaventoso racchiuda l’animo umano. Vorreste saperlo, vero? E invece no, non dirò niente. Perché se dicessi anche solo una parola di troppo poi non smetterei più e finirei per scrivere un romanzo sul romanzo, ovviamente senza possedere né la bravura né gli strumenti adatti. E allora prendiamola un pezzettino alla volta, questa fata che non sappiamo da quale mondo provenga. Che vorrebbe danzare come una foglia in un mondo bellissimo, forse, ma che è consapevole di poter essere strana, diversa, e comunque altrettanto indimenticabile restando fedele a se stessa. 

 

Non era triste, non si sentiva sola, bastava a se stessa praticamente da quando era nata.

 

Esiste un termine in inglese che ha una potenza terribile, anche per come suona nel momento in cui lo pronunci, ed è weirdo. Weird in sé, come aggettivo, è comunemente tradotto con strano. Weirdo è una storpiatura con un significato più profondo; è il modo in cui si può identificare una persona stramba, dissociata dal contesto sociale, talvolta con accezione portata all’estremo di “mostro”, una creatura che è così diversa da quello che normalmente siamo soliti riconoscere come normale da guardarla con timore, come fosse appestata. È il Cappellaio di Alice, ma anche il Bianconiglio imbarazzante, Howl al suo peggio, o Jareth all’apice delle macchinazioni nel suo labirinto. E se faccio deviazioni che non capite, poco importa. Lily le capirebbe, e questo è tutto ciò che mi interessa, perché tra simili ci si riconosce, anche quando s’indossano pantaloni sformati e felpe col cappuccio in modo che gli altri non comprendano nemmeno, a colpo d’occhio, se sei maschio o femmina. Vent’anni fa era un problema, adesso per fortuna, e grazie al fatto che in parte alcune sezioni del genere umano hanno iniziato a funzionare, non ci facciamo più caso. Magari di fronte a un adolescente che non sappiamo identificare come genere rimaniamo un attimo perplessi, ma quello che conta è che alla fine non ci importa, davvero, che tipo di genitali nasconda. La voce prorompente di questo libro scorre nelle vene alimentandosi di questo, della fredda controparte di fronte alla voracità delle esistenze che circondano Lily, quei due ragazzi che le gravitano attorno e che con lei creano una squadra indimenticabile. Cosmo lo abbiamo già conosciuto, ma Nathan Greco, migliore amico di quest’ultimo e gay dichiarato, è tutta un’altra storia. Ed è davvero una storia ben scritta, delicata, dolce e rabbiosa al tempo stesso. Nathan rappresenta tutto quello che avrei voluto nella mia vita per molti, moltissimi anni, ed è la sfida cocente e imperitura che smuove le acque e al tempo stesso pare sia venuto al mondo per calmarle e poggiarci delle ninfee sopra. È il porto sicuro che riconosce la verità, non per sentito dire o perché gliela hanno venduta in sconto, ma perché ce l’ha incollata addosso e senza non può vivere.

Ma lei, lei che non appartiene alle convenzioni di questo mondo, come può davvero trovare un nuovo angolo dove rannicchiarsi, quando anche i punti fermi traballano e nel cuore c’è una lacerazione causata dalla sofferenza delle altre persone? 

 

«Dovresti essere felice.» «Credi davvero che possa esserlo?» replico, amara. «Mi sento inutile, senza senso e spina dorsale. Uno scherzo della natura.» «Sei solo speciale, mostriciattolo. Ed esserlo non è semplice.» «Non c’è niente di speciale in me, sono sbagliata, inadatta e fuori posto ovunque. Indosso una corazza e non permetto a nessuno di scalfirla, e le poche volte che succede arrivano nuove ferite, sempre più profonde. Non ce la faccio più.» «Sei troppo severa con te stessa» osserva.

 

E se non bastasse la saggezza di un ventenne, ecco che un altro personaggio merita tutta la luce che possa inondare un palcoscenico; perché forse Isabella sarà decisamente una gran rottura come madre per Lily, ma mette sulla sua strada Adahi, un guru o uno SCIArlatano come preferisce chiamarlo lei, che un pezzettino oltre ci vede davvero, e che diventa un’oasi omnicomprensiva, con quegli sguardi e quei silenzi che sembrano assenza, ma che dicono tutto. Adahi rappresenta un punto di connessione, ma soprattutto il salto oltre quelle sequenze logiche che sembrano indispensabili per sopravvivere; è la brina che bagna le foglie di prima mattina, che culla la vita, ma lo fa in disparte, quasi dismesso, così diverso dalle forti apparenti prevaricazioni di Isabella. Insieme a Vittoria, Adahi è la dolcezza potente con cui è possibile accarezzare Lily, alzando il livello di coloro che dovrebbero essere, almeno in teoria, dei comprimari. Eppure uno degli aspetti più belli è proprio il fatto che tutti coloro che compaiono sulle pagine hanno un inizio, uno svolgimento e una fine; non nel senso del mero compitino in classe, ma in quello di anime che compiono un percorso più o meno completo, persino quelle che nell’orrore delle proprie esistenze sono invece condannate a rimanere. E quindi, a prescindere dal meraviglioso trio rappresentato da Lily, Cosmo e Nate, sono un coro eccelso, che elevano il livello del romanzo facendone uno spaccato di vita a trecentosessanta gradi e oltre. Il sentire della protagonista è il filo conduttore, ma questo non diminuisce il ruolo di ogni singola voce; il fatto di essere circondata da protagonisti non la affossa né la nasconde, ma contribuisce a farla risplendere ancora di più, in tutte quelle pericolose sfumature tristi che talvolta la sfiorano.

 

Mi sento come la buccia della patata, inutile e scartata da tutti. Una specie di ruota senza denti, la parte di un ingranaggio disinnescato. Non riesco a combaciare con niente, continuo a girare da sola, a vuoto.

 

Ma come la storia ci insegna, anche le bucce delle patate possono avere molto da dire, e menomale che avviene. Perché forse alla fine è proprio qui il trucco, sapete? Quello che all’apparenza è inutile o da buttare può trovare una nuova vita, o semplicemente vivere la sua, magari grazie alla spinta di una spezia con cui combinarlo oppure perché un palato fine vi ha trovato un senso. Allora forse non è più sbagliato a prescindere, ma sbagliato in un contesto; e se il contesto è, in fondo, soggettivo, come possiamo sostenere con tutte le nostre forze che qualcosa sia davvero giusto o sbagliato? Ed è qui la felicità, amici Magnetici. Nel realizzare che esistono milioni di stelle, ma che se non alzi gli occhi al cielo non ne vedrai nemmeno una; non per questo smetteranno di esserci, ma avete capito cosa intendo. Potranno anche esserci acquari sbagliati, ma la preda o il predatore si definiscono da soli e solo dopo, in base a quello che li circonda. Potranno esserci ragazzi, ragazze, o identità fluide che non vogliono l’identificazione di genere semplicemente perché non ne sono interessati. Potranno esserci colori sgargianti o un profluvio di nero che, per citare Andrea, come la verità sta bene su tutto. Potrà esserci questo e altro ancora, in una ruota che gira, ma s’incanta davanti al silenzio di una vita che si rivela, lasciandoci senza fiato davanti alla sua meraviglia, come una farfalla che vedi per quello che è: qualcosa di strano, brutto se osservato nei dettagli, ma bellissimo una volta che ha spiegato le ali. 

 

So che dovrei fare pace col mio nome, in fondo è solo uno dei regalini che mi ha fatto mia madre nel mettermi al mondo, insieme alla predisposizione all’ansia e a dei piedi orribili. Appena nata mi ha guardata intensamente e, con sprovveduta fierezza, ha deciso che il mio nome sarebbe stato proprio Ludmilla: colei che è amata dal popolo.

 

 


 
 
 
 
 
 
Grazie alla CE per averci fornito l'eBook
 
 
 
 
 

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