«Quinn Hamilton nato all’Hampstead Hospital nel 1990?» «Sì», confermò lui corrugando la fronte. «Tu», lo accusò a denti stretti. «Tu mi hai rubato il nome».
Una simpatica commedia frizzante e leggera, Amici Magnetici, ecco che cos’è questo piccolo gioiellino di un’autrice che non avevo mai letto prima. Tutt’altro che breve, e con salti temporali importanti, il romanzo, che a mio avviso stenta un po’ a ingranare non fosse per la terza persona cui ormai ci siamo disabituati, prende poi un ritmo sempre più veloce, incastrando la storia di Minnie Cooper (ebbene sì, è questo il suo nome) e Quinn Hamilton. Entrambi nati praticamente allo scoccare della Mezzanotte del primo Gennaio del 1990, rappresentano due tipologie completamente diverse di individuo. Andiamo con ordine, e vediamo di non farci trascinare, perché nonostante questo sia a tutti gli effetti uno slow burn romance, di cose da raccontare ce ne sono, così come di personaggi bizzarri cui stringere la mano. Quinn è un rampollo viziato che ha tutto; oltre al bell’aspetto ha anche una carriera, proviene da una famiglia agiata, di certo non ha problemi nel pagare le bollette. Pare nato con la camicia, e forse è stato proprio quel nome e il fatto di aver iniziato bene come primo nato dell’anno, con conseguente fama e premio in denaro, a dare il via a un’esistenza all’apparenza perfetta. E sottolineo il termine “apparenza”, perché per tutto il libro la sua antagonista principale, quella Minnie cui è stato soffiato sia nome che premio, lo reputa la propria nemesi imperitura, la causa prima di tutti i mali e soprattutto il motore principale che ha azionato la sfiga ancora prima che vedesse la luce. Minnie ha un sogno e una stramba famiglia alle spalle, un gatto permaloso e un fidanzato più interessato ai titoli assurdi dei propri articoli che al fatto di perdersi per l’intera serata di Capodanno la ragazza con cui esce che, colmo della sfortuna, è rimasta chiusa nel bagno del locale e ci rimarrà fino alla mattina dopo. Ed è proprio Quinn, il festeggiato, a sentirla gridare, ed è con lui che Minnie guarda l’alba il giorno del proprio compleanno, visto che entrambi condividono qualcosa di cui non sono a conoscenza. Fino a quando lui non si presenta e l’idillio svanisce.
Minnie tornò a osservarlo, restituendogli lo sguardo. Aveva pensato a lungo a lui nel corso della sua vita. Sapeva che non era normale nutrire del risentimento verso un individuo mai conosciuto, di cui non sapeva nulla, eppure era così. Da ciò che sua madre le aveva sempre raccontato, quel ragazzo le aveva rubato il nome e la buona sorte. Ogni volta che le succedeva qualcosa, le ripeteva: «Sei nata sfortunata, bimba mia». Era stato il ritornello della sua infanzia. Di colpo le tornarono alla mente tutti i suoi passi falsi.
Ora, ci sono degli aspetti del romanzo che sicuramente avrei affrontato in modo diverso, ma è indubbio che come commedia sia valida e contenga di più di quello che vuol mostrare. Che poi alla fine non è forse quello che vogliono fare le storie che hanno lo scopo di farci ridere? Lo fanno, è vero, e nel contempo ci fanno anche pensare, mettendo sul tavolo storie non banali, che si costruiscono con una tecnica multistrato, e soprattutto definiscono in modo molto complesso i personaggi, sia protagonisti che comprimari, facendo in modo che buchino le pagine e rimangano lì, quasi a tenderci la mano in un momento di sconforto. Credo che questo sia davvero il genere più difficile da affrontare e mi fa sempre pensare che condivida il destino del Giullare di Corte, che ha sì lo scopo di far ridere gli astanti, ma è molto complesso e consapevole del mondo che lo circonda. Questo è quello che fanno le commedie, almeno a mio avviso, offrendo una visione semplicemente divertente, ma stuzzicando il lettore col sottotesto. Posso citare solo due esempi in questo frangente, perché altrimenti incorrerei nel rischio di dirvi troppo togliendovi il gusto della lettura. Il rapporto fondamentale, per entrambi i protagonisti, è quello con la famiglia d’origine, che mai come adesso si configura come il pilastro di quella che sarà la personalità dei figli che vi crescono all’interno. Minnie è lo specchio di quello che ci si aspetta, anzi non ci si aspetta, da lei. Non che non sia una figlia amata, intendiamoci, ma semplicemente non è quello che la madre avrebbe voluto. Per uno strano scherzo del destino, per aiutare la sua compagna di stanza durante il travaglio, sua figlia non è diventata famosa e hanno perso il premio che avrebbe potuto risollevare le loro sorti economiche trent’anni prima; questo ha marchiato Minnie con un nome sciocco, soprattutto se abbinato al cognome, e un’aspettativa bassa di successo. Ma se i tuoi genitori non ti incoraggiano a credere nei tuoi sogni, come si può pensare che tu sia il primo a farlo? Ed ecco che Minnie è il prototipo di figlia incastrata in una vita che ha voluto fortemente, ha aperto un’attività di cucina con la sua migliore amica Leslie, ma che non riesce a pagare l’affitto, a far quadrare i conti, ad accontentarsi perché “le è capitato questo mazzo di carte e non può chiedere di più”.
Come potevano i suoi genitori passare così tanto tempo a riparare le cose e non vedere ciò che era spezzato proprio davanti ai loro occhi?
È un aspetto fondamentale del libro che si contrappone al modo in cui invece è cresciuto Quinn. La sua infanzia e adolescenza ve la lascio immaginare, perché davvero altrimenti rischio lo spoiler, per adesso vi basti sapere che tutto quello che Minnie crede di sapere di lui si basa solo ed esclusivamente su una proiezione che lei ha in testa, figlia del risentimento che sua madre prova per la madre di Quinn. I frequenti salti temporali, che ci mostrano alcune vigilie di Capodanno di entrambi, sono sprazzi lucenti e divertentissimi che ci fanno intravedere quel filo rosso che li unisce e che va oltre il fatto di essere nati a una manciata di secondi l’uno dall’altra. Eppure, al tempo stesso, hanno il sapore amaro della solitudine, talvolta della perdita e, nel caso di Quinn, di uno stato di ansia pressoché cronico. Nonostante l’aria spavalda del Quinn del 2020, quello che si muove dunque nel presente temporale del libro, le crepe ci sono e sono talmente profonde da passare quasi del tutto inosservate, anche all’occhio attento di Minnie che inizia a comprendere che un’amicizia con lui sia possibile, se non addirittura qualcosa di più. Ma se lei è frenata eppure presente a se stessa e ai propri fallimenti, senza contare la paura totalizzante di commettere ulteriori errori, Quinn è ambivalente e dà vita a un personaggio che non tutti probabilmente ameranno. I lettori di romance sono abituati ai maschi alfa, o almeno che siano anime tormentate per favore!, quindi troveranno difficile provare un’immediata empatia per Quinn. Eppure è proprio questo un altro degli aspetti importanti del romanzo, Amici Magnetici; riuscire ad apprezzare un genere di uomo che è raro sulla carta, ma molto molto comune nella vita reale, dove è spesso insicuro, dubbioso e tutt’altro che perfetto, in cerca di spinte che gli permettano di avere un’andatura costante almeno per inerzia. Non me ne vogliano i lettori maschi, ma ci sarà un motivo se abbiamo fidanzati librosi che sono l’opposto di quello che abbiamo nella realtà. Quinn però fa quello che spesso i suddetti uomini in carne e ossa non fanno; si interroga, si mette alla prova, cerca la radice dei propri errori. Minnie rappresenta tutto ciò che è agli antipodi della sua esistenza tranquilla e sicura, instradata sul futuro da misantropo che lo attende, destinato a solitarie nuotate in laghetti ghiacciati di domenica mattina all’alba. È un po’ come un pinguino che si innamora di una ragazza di cartone che gli hanno messo nel recinto per scopi pubblicitari e di quell’amore non corrisposto e soprattutto impossibile si lascia morire, affogando in un passato che è come una serie di strati di glassa messi lì a coprire una base sgretolata e incrinata al centro. Ci sono gli amici, certo, l’ambizione per Quinn e la necessità di sopravvivere per Minnie, ma soprattutto c’è la risolutezza nel mettersi in gioco, tutto tranne che semplice, quanto piuttosto drammatico e lacerante. Ci sono le malattie che sembrano prendersi tutto, anche la voglia di alzarsi al mattino, e il coraggio di creare una vita ascoltando il battito pulsante del cuore di una casa, così diversa da quella dei sogni, ma non per questo meno felice. Ci sono i muri, le apparenze e soprattutto dei divisori di cristallo, che insegnano che non si è mai troppo lontani per potersi incontrare, per spezzare le maledizioni, per impedirsi di scivolare nell’agio della comodità di una vita senza scossoni che però non vale la pena di essere vissuta. E quindi è questa la profondità di cui vi parlavo, quella che scava oltre la copertina brillante e dai colori pastello, oltre i lustrini delle feste di Capodanno dove le persone devono essere gioiose quando avrebbero preferito starsene rannicchiate sul divano a leggere. In tutto questo il ruolo degli amici è fondamentale, sia che si tratti della tua migliore amica che ha visto prima di te il tuo coraggio, che dei tuoi colleghi svampiti con cui hai costruito dal niente una società che a malapena sta a galla, ma che ha senso di esistere prima di tutto per quello che porta alle persone che ne hanno bisogno. In uno dei momenti più difficili che Minnie si trova ad affrontare, ecco che spunta quella frase che a me, personalmente, ha sempre salvato. Non sono proprio le stesse parole, ma racchiudono il significato del libro e del cuore dei protagonisti, comprimari inclusi, che hanno fatto della resilienza una croce e una sfida, mentre a occhi spalancati affrontano tutto quello che questa folle vita mette sul loro cammino.
Una cosa alla volta, pensava. Cercare di superare indenne la nottata e il giorno successivo per poter smettere di tentare di superare indenne qualcosa. E cominciare a vivere.
Vi consiglio questo libro, miei fidati lettori? Certo che ve lo consiglio, perché è una carezza lieve, ma decisa sulle nostre teste stanche, talvolta un abbraccio impacciato e spesso una fetta di torta consolatoria da apprezzare nel momento in cui pensiamo di tirare i remi in barca. È un romanzo speciale scritto da chi di certo conosce gli argomenti sensibili di cui tratta e oltretutto lo fa con maestria, senza esagerazione, senza la ricerca ossessiva del tragico a ogni costo. Per questo è prezioso, come tutti quelli che ci vengono incontro e che ci tornano in mente quando ne abbiamo bisogno.
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