Il tempo passa, ma Aldrin, Armstrong e Collins Mooners sono sempre alle prese con disagi e problemi esistenziali.
Aldrin, di rientro da una trasferta a New York con suo marito Konrad, nasconde a tutti un segreto.
Armstrong, sopraffatta dal ruolo di madre e vittima di una bambina che la comanda a bacchetta, ha perso il tocco magico della Lady di Ferro del wrestling.
Collins, alla ricerca di una perfezione che mai potrà raggiungere, trova un album fotografico che sconvolgerà il suo equilibrio ricercato e agognato.
Ecco che quindi le tre sorelle Mooners si trovano ancora una volta a dover affrontare dei problemi di non poco conto, proprio mentre il Natale si avvicina…
Tra tacchini, papere, amici, amori, figli e regali da incartare – un turbinio che metterebbe a dura prova la psiche di chiunque – Aldrin, Armstrong e Collins hanno un’unica certezza: nella vita si può affrontare ogni tipo di situazione, con gli affetti veri al proprio fianco.
Non amo particolarmente le novelle, Amici Magnetici.
Nella peggiore delle ipotesi sono noiose, in quella ancora peggiore, sono troppo brevi e tu avresti voglia di bussare a casa dell’autrice e con aria isterica e del tutto contrariata gridarle “Perché mi hai fatto questo?”. Ecco, immaginatemi mentre faccio la seconda e, quatta quatta (onomatopeica non voluta, scusate) come una papera diffidente, mi avvicino alla tale autrice, magari bellamente intenta a bersi un cappuccino in un bar o comunque a farsi i sacrosanti affari suoi, e le riverso addosso la suddetta frustrazione.
Io sono simile ad Aldrin per certi aspetti, e per farvi capire vi dico subito come si presenta, così ci togliamo ogni dubbio; d’altronde i lunghi viaggi in macchina servono a questo, soprattutto quando hai un compagno che non parla e che, a quanto pare, non è nemmeno particolarmente ricettivo al tuo sproloquio emozionale.
E poi, io agisco di pancia, e lui più di tutti dovrebbe saperlo. D’altronde, se ho acconsentito a riaccoglierlo nella mia vita è solo perché non rifletto quando parlo o quando prendo decisioni. E che ....., se così non fosse. È anche vero che la vita, prima o poi, ti porta a maturare, ma… ma non voglio neanche pensarci. Non ora. Non ancora.
Bene, non voglio pensarci nemmeno io, perché in primis devo mettere la Sig.ra Gaeta sul banco degli imputati. Sissignori, c’è sempre una prima volta ed eccola qua. Accusa come segue, ai posteri (e agli avvocati) l’ardua sentenza.
Gentilissima e onorevolissima autrice,
Lei mi ha profondamente confuso. Nel senso non proprio letterale eh, perché confusa non sono affatto, ma nel senso che mi ha lasciata amareggiata e colpita. La seconda in senso buono, quindi le risparmio qualsivoglia denuncia, ma l’amarezza resta perché la Sua storia è troppo breve. Quindi, a prescindere dalla dissertazione, Le è richiesto di scrivere ancora sulle Mooners, possibilmente con lunghe deviazioni sugli addominali di Konrad e Tom, passando per eventuali evoluzioni nel rapporto tra GluGlù e Quack. Questo soprattutto perché, oggi come non mai che assistiamo a un numero enorme di casi di abbandono di animali, penso che potrebbe aiutare molto a rivalutare anche quelli che sono degradati a mero cibo piuttosto che simpatici intrattenitori. E siccome tutto il potenziale di GluGlù non è stato espresso in questa Sua storia, Le è demandato (una forma cortese se vogliamo di obbligo) di scriverne ancora, sancendo il beneamato libero arbitrio di coloro che sono salvati da tavole imbandite per eventi del tutto discutibili soprattutto in merito a una sopravvalutata catena alimentare. Stante il punto sopra, di rilevanza notevole, affrontiamo il secondo punto della mia arringa (supportata da effettiva condiscendenza di Quack che, protettiva, mi ha concesso di cambiare argomento si intenda), passando diciamo all’aspetto positivo di questa opera.
Grazie mille Sig.ra Gaeta, perchéLei ci ha fatto ricordare cosa significhi leggere quella pagina dopo la parola “Fine”. Quella che tutti vorremmo sbirciare e che, a noi romantiche condannate dalla più tenera età, ci ha considerevolmente rovinato la vita; in breve, mi riferisco a quella pagina dopo il “E tutti vissero felici e contenti”, perché col cavolo che succede e di certo non succede a tutti. Il bel finale è quello che dimentichiamo tra le righe di quello che ci aspettiamo, per rimanere poi impigliati nella triste realtà di quello che abbiamo trovato tra le nostre mani. E quindi grazie. Per averci dato una Strong non troppo strong, con lo chignon sfatto, i tacchi dimenticati e il piglio arrogante infranto nel vetro opaco della vita di tutti i giorni. Grazie per avercela data senza trucco, in tuta, con la voglia di riprendere in mano la propria forza e di guardare negli occhi un uomo che prima di essere stato un protagonista è stato, a tutti gli effetti, l’antagonista che l’ha sfidata e fatta crescere. Grazie per averci dato Collins, per la delicata capacità che ha di aver trovato un equilibrio, un’oasi in mezzo alla tempesta che nemmeno lei stessa si rende conto di essere. Grazie per le sue imperfette ricerche di perfezione, che servono per ricordarci di sentirci utili quando l’unica cosa per cui dovremmo essere grate è di essere al mondo e quindi un dono per chi ha la fortuna di camminarci accanto. Grazie, per tutte quelle ragazze che sono lei, che cercano una via di fuga in una pagina web che diventa chilometri nel deserto o in una capitale da vedere perché tanto ti senti sola comunque, anche in mezzo alle rocce o a milioni di persone che viaggiano impazzite a una velocità che non è la tua. Grazie, perché ha parlato di tutte noi, quelle troppo fragili e troppo forti per mostrarsi fragili, rotte in quei punti di incontro con l’altro dove l’altro, nella maggior parte dei casi, è troppo occupato per accorgersene. Grazie perché ci ha dato una mamma brillante e un compagno che comprende, e soprattutto per averci dato quella retrospettiva fondamentale per cui siamo noi stesse le artefici dei nostri problemi mentali, comprese paranoie e limitazioni imposte.
«Non credo che i tuoi sarebbero contenti di vederti così. Sarebbero fieri, di questo ne sono certa, ma non hai scintille, negli occhi. Sei spenta, e questo non va bene.» Ammutolita, bevo il mio caffè. «Non puoi relegare te stessa in un ruolo che non ti appartiene per tutta la vita senza dare di matto, ne sei consapevole?» «Io non sto recitando» dico di getto. «Davvero?» Abbasso lo sguardo.
Grazie perché ci ricorda di essere perfette nel nostro non essere sempre al massimo, soprattutto perché sembra che questo lo pretendano gli altri quando spesso agli altri bastiamo esattamente come siamo. Grazie per i tacchi di Armstrong, per la dolcezza di Martha e per le risate dei bambini che sanno sempre come prendere per il verso giusto gli adulti, soprattutto quando decidono di averne abbastanza di broccoli perché dai, seriamente, chi potrebbe mai scegliere i broccoli al posto del gelato al pistacchio anche se sono entrambi verdi? Grazie per Aldrin, mia cara Sig.ra Autrice, perché quando L’ha creata, non si sa bene da quale sprazzo di Supernova impazzita Lei abbia tratto spunto, Le è uscita così bene che ancora i suoi capelli strambi mi ballano davanti mentre cerca di intavolare un discorso con Quack. Grazie per averle lasciato, dopo tre anni dalla fine della storia principale, quello stesso spirito di naturale follia e noncuranza che sento mio come se fosse calcato sulla mia pelle; siamo strane noi due, rispettose per alcuni versi e completamente folli per altri. Che diamo nomi agli animali e ci parliamo, li coinvolgiamo, li sentiamo come se fossero parti di un insieme più grande che deve avere un significato; altrimenti non avrebbe senso per lei adottare un tacchino e per me riflettere seriamente su un possibile futuro come allevatrice di alpaca. Grazie perché Aldrin spara sentenze e citazioni cinematografiche come un compendio di sapiente connubio tra serie tv, film romantici e saghe fantascientifiche. Non so Lei, ma io me la immagino salire sulla scalinata, affiancare la famosa statua di Rocky e urlare al mondo intero di mettersi in riga, che siano dei giocatori di wrestler, nipoti capricciosi o animali con più domande che risposte.
Quindi tutto sommato, cara Sig.ra Autrice, forse possiamo anche evitarla questa denuncia per “brevità dell’opera”, si vede che lo scriverne mi ha aiutato a riflettere e ragionare su eventuali pro e contro e spese legali, che ovviamente finirebbero a mio carico, visto che Lei in quanto Artista fa quello che Le pare e alla fine sembra anche la cosa più ovvia e corretta. La prego comunque di riconsiderare quanto sopra, alla luce dei profusi e sentiti ringraziamenti. A prescindere dagli addominali dei due protagonisti sopracitati (mi scusi, ma bisogna reiterare i concetti importanti in legalese, sia mai che vi siano delle incomprensioni su aspetti di tale rilevanza), vorrei ringraziarLa (rieccoci) per averci dato una mano a prenderci quello spazio vuoto dopo la già sopracitata “ultima pagina”. Per averci dato la normalità e la rabbia e la paura e l’incertezza, e tutte quelle cose che fanno di noi essere umani, straordinari ma, appunto, umani. E anche se siamo abituati a guardare in alto con gli occhi rivolti alle stelle, per tutta la vita ci hanno insegnato che deve esserci qualcosa di immenso che si riflette dentro di noi, quindi grazie per non averci fatto sentire troppo piccole nelle nostre manchevolezze, e aver affrontato con tono ironico e delicato aspetti che avrebbero potuto chiamarsi con un altro nome, riconosciuti dalla medicina e dalla società come nemici giurati delle donne, soprattutto se sono lavoratrici e se sono madri. Ma io voglio tenere il tono leggero qui e quindi, miei cari lettori, il senso ve lo andate a cercare tra queste belle righe, che sanno di estate nonostante sia autunno, che hanno il sapore del sole, nonostante si avvicini il Natale.
Direi che l’arringa è conclusa, e spero che alla fine ci stringeremo la mano in amicizia e senza troppo clamore. Le chiedo comunque di riconsiderare il fatto di farci sapere qualcosa in più, perché non posso non sapere come vanno a finire le storie delle nostre stelle e delle galassie che hanno formato. La ringrazio per i biscotti di Martha e per tutte le leccornie che mi ha fatto venir voglia di mangiare (vegetariane) oltre che per una sana necessità di rivedere il mio rapporto con i pennuti più grandi di un piccione. Nella speranza che questa mia sincera elucubrazione non La istighi a denunciarmi per folli sproloqui, La saluto cordialmente sempre stringendoLe la mano. Non troppo forte altrimenti non mi scrive, si sa mai che possa arrecarLe danno.
In fede (oltre che dovutamente speranzosa),
Divergente (altrimenti conosciuta come quarta sorella troppo simile ad Aldrin).
Nota a margine. Cari Magnetici, scusate, a questo giro mi è presa la forma epistolare, abbiate pazienza e sarò breve. Non so se si evince da quanto sopra che la storia merita di essere letta, per i motivi accennati e per altri che non è necessario approfondire, altrimenti vi dico tutto e poi che gusto c’è? Se avete letto “The Mooners” non potete non apprezzare questo gioiellino, che arriva come un regalo in anticipo sul Natale e che si legge tutto d’un fiato accoccolati sul divano. Non potete non apprezzare il “dopo” ultima pagina, concetto su cui ho insistito non a caso e capirete da soli perché. Ci sono molti modi per dare degna conclusione anche alle storie più colorate, che forse una conclusione non la vogliono o comunque non ne avrebbero bisogno, e questa è una di quelle. Con buona pace mia, se l’autrice non mi denuncia per istigazione violenta alla (ulteriore) scrittura, bene che vada torno a parlarne, da una stanza dove mi rinchiudo con i miei sogni, un telescopio, e muffin ripieni di gocce di cioccolato.
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