lunedì 15 giugno 2020

Recensione a "L'isola di Arturo" di Elsa Morante



Genere: Romanzo - Narrativa letteraria
Editore: Einaudi - ET Scrittori 
Data d'uscita: 1957
Pagine: 398
Prezzo: e-book 6,99 cartaceo rigida 13,99 cartaceo flessibile 12,35

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Arturo, il guerresco ragazzo dal nome di una stella, vive in un'isola tra spiagge e scogliere, pago di sogni fantastici. Non si cura di vestiti né di cibi. È stato allevato con latte di capra. La vita per lui è promessa solo di imprese e di libertà assoluta. E ora ricorda. Queste sono le sue memorie, dall'idillio solitario alla scoperta della vita: l'amore, l'amicizia, il dolore, la disperazione. Secondo romanzo della Morante dopo Menzogna e sortilegio (1948), L'isola di Arturo (Premio Strega 1957) confermò tutte le qualità della scrittrice romana: l'impasto di elementi realistici e fiabeschi, la forte suggestione del linguaggio. Arturo, come Elisa in Menzogna e sortilegio, «si porta addosso la croce di far parte non di un oggi ma di un sempre».



Un lento susseguirsi di evoluzioni psicologiche e vicissitudini romanzesche, sullo sfondo dell’isola di Procida negli anni 40, che man mano diviene sempre più incalzante e denso di sentimento. Questa è la mia personale idea del romanzo capolavoro di Elsa Morante, datato 1957, per anni rimasto impolverato sullo scaffale della libreria perché considerato dalla sottoscritta come “certamente noioso”. Infatti la storia di Arturo Gerace potrebbe apparire a tratti plumbea: un ragazzino orfano di madre, cresciuto solo, con un padre spesso in viaggio, senza amici, che si affaccia all'adolescenza tormentato dall'amore proibito per la sua matrigna, a cui segue la gelosia per il fratellastro e la disperata ricerca dell’affetto paterno, che lo porterà a salpare verso nuovi lidi lontani, dopo la scoperta dell'omosessualità e dell’amore del padre per un altro uomo. In realtà “La notte della vita” e quindi l’intreccio che si sviluppa man mano nella lettura, racchiude un dispiegarsi di immedesimazioni che si rivelano quasi uno specchio nel quale il lettore può leggersi.

“Io da quando sono nato, non ho aspettato che il giorno pieno, la perfezione della vita: ho sempre saputo che l’isola, e quella mia primitiva felicità, non erano altro che una imperfetta notte”.

Le acerbe vicende Procidane di Arturo altro non sono che il preambolo della vita oltre l’isola, quella che non ci è dato conoscere, ma che tutti avremmo voglia di immaginare.
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