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mercoledì 30 ottobre 2024

Recensione a "Arcadia" di Erin Doom

 


Editore: Magazzini Salani
Data d'uscita: 8 Ottobre 2024
Pagine: 496
Prezzo: eBook 11,99 - cartaceo 18,90

 
 
 
 
 
  Mireya e Andras sono ben lontani dall’essere i personaggi di un sogno perfetto. La vita li ha feriti e segnati, e li ha convinti che nessun lieto fine li attende. Andras sa di essere un’anima dannata, un angelo caduto come quello di cui porta il nome, capace di fare solo del male alle persone a cui tiene. Un trauma doloroso lo tormenta e il padre crudele torna prepotentemente nella sua vita, deciso a rovinargliela una volta per tutte. Mireya lotta per i suoi miracoli con le unghie e con i denti, con la speranza di riuscire a salvare la madre in bilico tra la guarigione e una ricaduta nella dipendenza da cui non potrà più tornare indietro. Senza contare che l’ombra di Coraline incombe: che fine ha fatto la ragazza? Potrebbe riapparire da un momento all’altro e riprendersi il ruolo di protagonista che le spetta? Eppure, nonostante il destino sembri remare contro, il sentimento tra i due continua a crescere come un fiore, testardo e disperato, spaccando la terra e insinuandosi tra le crepe aride dei loro cuori. È il momento di scoprire se l’amore può guarire le cicatrici o se questa, invece, è un’altra storia.
 
 
 
 
 

I Miracoli accadono.

A volte sono passi che incombono pesanti in un locale buio, hanno il sapore di un B52 fatto con del buon liquore invecchiato, oppure si insinuano lenti dentro occhi che sanno di temporale, per infrangersi contro una vita incastrata nella rabbia, consumando l’ultimo respiro che pensavi di avere. Altre volte sono mani che respingono, decenni che si annullano in un battito di ciglia, la pioggia che ti cade sulla lingua perché hai il viso rivolto verso il cielo mentre aspetti che l’ultimo tuono squarci il silenzio, e il sangue scorre nelle vene come se dovesse imparare a farlo di nuovo, dopo essere stato troppo a lungo immobile, privo di compassione e risate. Ci sono miracoli che hanno il volto di una ragazzina arrabbiata, che si morde le labbra quando è nervosa, che ha occhi che fulminano e non lasciano scampo, mentre il suo corpo frastagliato nasconde una musica che solo chi ha vissuto le stesse note può comprendere. E poi ci sono i libri, che di un miracolo parlano e di miracolo sono fatti, una splendida partitura che si appiccica allo stomaco e non se ne vuole andare, perché il tempo è breve, ma non è ancora finito, perché certe cose le hai sulla pelle tatuate a luce nera, ma non per questo sono meno visibili o fanno meno male. E poi ci sono tutte le Arcadia che hai sempre e solo potuto immaginare, che si scontrano con una realtà talmente incomprensibile che grideresti se avessi la voce per farlo, se non fossi talmente abituato al silenzio che ti ha schiacciato le corde vocali da bambino, quando l’ultimo urlo ha lacerato una stanza bellissima in una dimora senza tempo dove due occhi verdi si sono spenti per sempre. 

Parole gettate alla rinfusa per cercare di farvi capire, almeno in minima parte, cosa sia questo libro. Che come poesia scivola sotto le mani e sotto gli occhi, andando a sfiorare le cicatrici di chi è sempre stato messo all’ultimo posto, in quell’angolo buio dove chi è senza speranza o si lascia morire o ruggisce come una fiera oltraggiata. Questa, e molto altro invero, è la storia di Andras e Mireya. Li abbiamo lasciati alla fine di Stigma con una rivelazione dolorosa arrivata attraverso lo schermo di un portatile impietoso. Non ci sono più le luci su un albero di Natale fatto con amore e non c’è più quella ragazzina indisponente che nel buio di una stanza fredda e solitaria ti sorprende con un dono che non ti ha mai fatto nessuno. Il dado è tratto e il passato torna a bussare prepotente alla porta di chi non ha mai chiesto niente se non di essere accettato dall’unica persona che non avrebbe dovuto farsi pregare per questo. Come Andras è il principe reietto degli Inferi, marchiato dal suo nome come una maledizione, Mireya è la regina solitaria per cui non può esistere il lieto fine, perché ci sarà sempre una principessa bellissima incoronata di diaspro a ricordarle che lei non sarà mai la prima scelta. Lei sarà sempre l’altra da tenere nascosta persino a se stessi, perché come è possibile che qualcuno possa desiderarla, vestita di caos e disastri, quando l’alternativa è perfetta e luminosa come un rosa?

 

La regina è sempre cattiva. 

La conosci la storia, no?

Lei parla con uno specchio malvagio

O vive in un castello di ghiaccio.

Non esiste alcuna favola per lei.

 

Se Stigma è un fiume impetuoso alimentato dal punto di vista di Mireya, Arcadia ci regala la generosa alternanza del punto di vista doppio, quindi scendiamo dentro Andras e finalmente possiamo assaporare in modo diretto il suo sentire. Nel primo volume attraverso il filtro della protagonista le ombre e soprattutto la rabbia che lo alimentano erano perfettamente percepibili, infiammando le pagine e i nostri occhi con assoluta maestria, ma adesso, quando scopriamo il suo passato, i motivi che lo hanno reso quello che è e lo strano legame con Zora e il Milagro’s, riusciamo a toccare con mano i sentimenti contro cui combatte, alla stregua della violenza che i suoi gesti e le sue parole non riescono a nascondere. Il locale dove domina incontrastato come capo della sicurezza, le donne che lo avvicinano e lo spetto di Coraline che aleggia come un’ombra pesante e indicibile su tutto, lo strozzano e al tempo stesso lo fanno sentire vivo; ha bisogno di autopunirsi per le colpe che si porta dietro fin da bambino e, anche per questo, è uno dei personaggi maschili più belli e complessi in cui mi sia imbattuta. Pensavo che dopo Rigel quest’autrice non avrebbe potuto creare qualcosa di più perfetto e sono felice di essermi sbagliata, soprattutto per un motivo ben preciso. Andras esplode in tutto il suo essere grazie ad un’antagonista che è un uragano, violento e indisciplinato come i più pericolosi spettacoli che la natura a volte decide di mettere in piedi. Mireya non è debole e sappiamo che ha un trascorso impressionante per avere soli diciannove anni. È spezzata in tutti i punti in cui una persona può esserlo, ha perso il suo centro nel momento in cui sua madre ha scelto una serra di fiori velenosi e bellissimi dove soffocare la vita e la sua delusione d’amore eppure, nonostante questo, si erge battagliera, con le ossa rotte e le lacrime da piangere solo sotto la doccia, con un viso che sembra uscito da un film di Tim Burton e un sorriso che mai, mai si apre sul mondo e sulle persone che la circondano. Le ferite che li distanziano e avvicinano al contempo suonano le battute dell’intero romanzo, che scivola sul palato come caffè forte e amaro, non addolcito da strazianti dichiarazioni, ma da flussi di coscienza onesti, talvolta onirici e soprattutto spietati.

 

Eravamo una canzone stonata, graffiante, di quelle che ti raschiano la gola e vibrano fino allo stomaco, di quelle che quando le ascolti ti colpiscono come un pugno e senti salire le lacrime agli occhi, che ti squarciano qualcosa dentro, e non importa che tu non riesca a capire il significato di tutte le parole, l’anima si infiamma e la schiena si riempie di brividi. E tu sai, così come sei consapevole di essere viva, che quella canzone è stata scritta per un nome soltanto. 

 

Ci sono i cieli che si aprono e ci sono le stelle, in questo romanzo, oltre a una serie di comprimari che, nonostante la schiacciante arroganza con cui i due protagonisti calcano il palcoscenico, sono perfettamente incastrati nella narrazione. La maggior parte delle scene appartengono al locale, ma anche gli appartamenti vicini di Andras e Mireya offrono scorci d’azione e pensiero continuo. Ci sono le dolci parentesi con Olly e l’anziana Carmen, che per assurdo è un personaggio chiave visto che si è intestardita sull’origine del nome della protagonista, oltre che i momenti di svago con James e Ruby, che adesso acquistano più rilevanza e sembrano incrinare il muro dietro cui la giovane si nasconde in modo indecifrabile e definitivo. C’è la fredda eleganza e comprensione di Zora, che ha raccolto una ragazzina dalla strada, letteralmente, e adesso scopriamo anche il motivo per cui ha avuto un determinato comportamento. Ci sono salti dolorosi nel passato, flashback che non hanno pietà e che svelano i retroscena dell’infanzia di entrambi, anche se Andras prevale visto che nel primo libro la narratrice univoca è all’oscuro di quello che lo ha reso ciò che è. Nonostante gli spazi fisicamente ristretti la storia si espande attraverso di loro, che si muovono come stelle e temporali distaccati e impetuosi, che si sfidano in una lotta continua che sa di fiele oltre che di attrazione trattenuta a stento. Se Andras mente, quando si decide a dire la verità i cieli si aprono, e Mireya resta tramortita insieme al lettore che non si aspetta che lui pronunci determinate parole; è un uomo di azione e silenzi, ma quando parla anche le anime dell’inferno si fermano ad ascoltare quel giovane che porta il nome di un Angelo caduto. 

 

Mi fece paura per quanto sembrava fatta su misura. Lo realizzai solo in quel momento: non tutte le opere d’arte stanno dentro a una cornice. Alcune ti guardano negli occhi e si lasciano ammirare senza bisogno di pagare il biglietto. E lei… lei era così. Era uno di quei quadri che da lontano sembrano capolavori, ma da vicino mostrano il caos.

 

La confusione che li attanaglia vibra attraverso tutte le pagine del libro, non lasciandoli mai soli, mai in pace, se non in rarissimi momenti in cui la vita si intromette e li mette alla prova in modi diversi. Coraline è un fantasma sempre più presente, che sembra aver infilzato il cuore di Andras con un uncino rugginoso che non si vuole staccare. Quello che sappiamo, che crediamo di sapere, viene messo in discussione a più riprese, mentre a poco a poco i segreti legati alla famiglia di Andras si svelano e con essi l’orrore che ha vissuto e da cui non è mai riuscito a emergere. Nei momenti di crisi che colpiscono anche Mireya, che non riesce a darsi pace per le condizioni della madre, gli antagonisti diventano brevemente alleati, solida roccia reciproca che si frantuma contro l’orgoglio dell’una e la resistenza dell’altro, in un movimento continuo e incessante, quasi uno schema che si ripete e che però non stanca, nella sua lirica ossessiva e pulsante. Ed è proprio lo stile a conferire a una storia che avrebbe potuto essere semplice e risolta in molte meno pagine quell’afflato di purezza e lucida determinazione, proprie di colei che il posto destinato a un’altra non lo vuole usurpare ed è anzi pronta a sacrificare tutto sull’altare di un amore non corrisposto. E anche se lei riesce a fargli dimenticare il novantanove per cento dei suoi tormenti, non potrà mai essere la sua regina dei Miracoli, quella che da bambino ha intravisto per un attimo e gli ha cambiato la vita. Anche se lei, come lui, è perfettamente consapevole che quelli come loro non avevano bisogno di piume e carezze, avevano bisogno di essere sbrecciati, sverniciati, graffiati dal dolore che si portavano dentro, alla fine non può pretendere il posto che è sempre appartenuto a un fantasma, anche se i confini tra i due mondi diventano sempre più labili, mentre gli anni trascorsi hanno steso un velo di dimenticanza su un episodio banale e all’apparenza di poco conto.  Laddove Andras ricerca il dolore, Mireya sa che deve pensare a se stessa e salvarsi per potersi prendere cura della madre, riuscendo al tempo stesso a essere un punto di riferimento per un’altra anima alla deriva. La scena del vicolo, quando gli uomini della sicurezza la chiamano perché lui è ubriaco e fuori controllo, è una delle più belle del romanzo, perché a lei finalmente viene riconosciuto lo status di unica persona che può farcela, forse, a scuoterlo da un’impasse che lo immobilizza contro un muro. Si feriscono e si salvano, sono il rifugio involontario l’uno per l’altra, in un mondo che non comprende come sia possibile che due spigoli così pungenti e distanti possano trovare il modo di convivere; sono l’eccezione nella normalità del quotidiano, due temporali che si incontrano e incontrandosi distruggono per ricomporre, come se fossero fatti della sostanza delle stelle che non si stancano di guardare oltre le luci di Philadelphia, oltre le cicatrici e le storture che li deformano, oltre il ringhio di un cuore che non vuole essere né compreso né, tantomeno, salvato.

 

Eravamo sempre stati degli esperti a farci del male. Più di quanto lo fossimo a fare tutto il resto. Ma la verità era che, quando invece ci facevamo del bene, ci guarivamo persino dalle ferite che non ci eravamo inferti. Le nostre inquietudini si placavano e noi finivamo a indovinare la forma delle nostre cicatrici come se fosse un gioco di nuvole. Restavamo a guardarle fluttuare leggere, minacciare di trasformarsi in tifoni, ma ci bastava restare vicini per vivere nella tempesta. 

E poi, da quel terreno martoriato, nasceva un sorriso. Nascevano uno scherzo, una presa in giro, un broncio tenuto per finta, soltanto per farsi baciare. Nascevano le confessioni sussurrate e i sentimenti sputati con coraggio, perché ci vuole una certa forza per farsi amare con i propri difetti, ma ce ne vuole ancora di più per amare quelli degli altri. E io… io lo avevo fatto. Li avevo amati tutti. Senza compromessi.

 

E quindi eccoci qui, Amici Magnetici; alla fine, come sempre, ho detto tanto per non dire niente, in quello strampalato modo che contraddistingue come scrivo, come leggo, come “sento”. Forse non avrete capito molto e allora è bene essere chiari, perché voglio rendere merito a questo romanzo o almeno provarci, visto che non sono sicura che le duemila parole sopra ci siano riuscite. Arcadia è un’opera a tutto tondo che, per assurdo, a mio avviso potrebbe essere letta anche senza aver letto Stigma. Il motivo è semplice; non gli manca niente, anzi, risuona come la perfetta apoteosi di quell’orchestra che immaginiamo faccia da colonna sonora alla vera Arcadia, il Paradiso tanto amato e tanto temuto da Andras fin da bambino. Eppure al tempo stesso il romanzo è il perfetto incastro del primo e, se li metti insieme, la musica sembra ancora più bella. Entrambi hanno il dono di farti “vedere” oltre la parola scritta, e questo è solo ed esclusivamente merito dello stile al tempo stesso lucido e onirico che li contraddistingue; e no, prima che mi rimproveriate, non è un ossimoro. Questi due aspetti possono convivere e qui lo fanno, perché c’è poesia nel crudo svelarsi di due anime che si ritrovano e c’è ruvidezza, astio persino, quando si rendono conto che le loro connessioni possono portarli, letteralmente, alla morte. Quindi ci sono momenti che scorrono veloci, come il paesaggio visto dal finestrino di un’auto sportiva, e altri che scorrono lenti, come quando ti prendi cura delle ferite di qualcuno che riesce a malapena a farsi toccare, eppure di te si fida, e sul tuo petto appoggia la testa stanca quando tutto il resto del mondo esplode. Ci sono scatti nervosi, ammaccature non troppo delicate, rivalse, vendette e un modo abbastanza inusuale di accettare la sofferenza, nel modo crudo in cui a volte entra nella vita senza chiedere alcun permesso, col gusto amaro della sconfitta. Ci sono le storie, quelle che appartengono alle tradizioni popolari, dipinti che svelano l’atroce verità che spetta all’uomo scoprire, e mani guantate che picchiano a sangue e sanno accarezzare allo stesso tempo. E poi ci sono le anime sfilacciate, che escono dalle pagine di una penna in stato di grazia per ricordare al resto del mondo che non importa quanto questo tenti di schiacciarle perché loro resisteranno, per se stesse e per le loro sorelle, anche se nessuno ci crede più, anche se nessuno l'ha mai voluto davvero veder succedere, anche se la tua è destinata, per sempre, a rimanere in disparte a guardare.

 

«So quanto hai cercato di proteggerla. Me lo hai detto tu, ricordi? Tra noi due sei tu quello che ha sempre amato. Hai un cuore che sente tantissimo… E non c’è niente di sbagliato in questo. Non c’è niente di sbagliato nel donarsi e legarsi a qualcuno».  Cercai di non piangere nel pronunciare quelle parole e continuai a proteggere l’amore che provava per un’altra. «Quel sentimento dentro di te è sempre stato reale, a prescindere che sia corrisposto o meno dalla persona a cui era destinato. A volte amiamo anche da lontano. A volte amiamo senza saperlo, anche chi nemmeno se ne rende conto» sussurrai affranta, e i suoi occhi mi guardarono di nuovo con quello struggimento che forse non avrei mai compreso. «E un giorno arriverà qualcuno che desidererà ogni singolo spigolo del tuo cuore, che saprà ascoltarti e comprenderti, che cercherà i tuoi occhi bassi quando parli di te perché sa che ti senti vulnerabile, che saprà correggerti quando sbagli e aiutarti a chiedere aiuto, se mai deciderai di farlo. Quel qualcuno vorrà bene a tua sorella, si arrabbierà con te, gioirà con te, piangerà e riderà con te, condividerà le tue lacrime e parteciperà alle tue sofferenze, perché tutto quello che vorrà sarà starti vicino e vederti felice. E tu… tu lo farai entrare e lo amerai con tutto te stesso, con tutta la tua anima e tutto il tuo mondo difficile e sconfinato che ti porti dentro, perché è proprio così che sei fatto».

 


 
 
 
 
 
 
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